È risaputo che il mondo del cinema e delle serie TV spesso propone stereotipi che non sempre riflettono la realtà. Una cosa che ho notato in molte opere — sia di rilievo che più leggere — riguarda la rappresentazione di certe coppie eterosessuali e, in particolare, della loro vita domestica.
In molti casi, troviamo una protagonista femminile impegnata in una vita scandita dal lavoro quotidiano e dagli obiettivi professionali, con un forte focus sulla carriera. Il suo partner maschile, invece, compare prevalentemente nelle scene ambientate in casa, quando lei rientra dopo una giornata intensa. L’interazione tra i due si svolge per lo più in ambito domestico, con dialoghi, diverbi o gesti tipici della vita di coppia, che servono a segnalare l’evoluzione del loro rapporto.
Quello su cui voglio soffermarmi è il modo in cui viene rappresentato il personaggio maschile: è quasi sempre relegato all’ambiente domestico, con un ruolo funzionale solo a completare il quadro della relazione. Il suo lavoro è spesso poco chiaro, marginale o precario, e la sensazione che traspare è che sia a casa da ore, intento in attività quotidiane mentre aspetta il rientro della partner. In pratica, non ha uno sviluppo narrativo autonomo: esiste solo in funzione della protagonista.
Mi vengono in mente alcuni esempi come "Il diavolo veste Prada", dove il fidanzato di Andy è costantemente in secondo piano e sembra più un ostacolo emotivo che un personaggio a tutto tondo, oppure il secondo episodio della settima stagione di Black Mirror, dove si ritrova una dinamica simile.
Quello che però trovo davvero difficile da accettare è quanto questa rappresentazione cinematografica si discosti dalla realtà. Mi chiedo sinceramente quanto siano plausibili, nella vita vera, queste coppie in cui l’uomo sembra quasi un "buono a nulla", sempre a casa, con un ruolo passivo e privo di ambizione. Perché diciamocelo: nella realtà, al primo appuntamento, molte donne ti fanno il “terzo grado” — vogliono sapere che lavoro fai, quanto guadagni, che prospettive hai, che contatti frequenti. Ti classificano, spesso in modo molto pragmatico, in base a reddito, status, rete sociale e solidità personale (tralascio volutamente l’aspetto fisico, che meriterebbe un discorso a parte).
Alla luce di questo, mi pare ancora più forzato e irrealistico che in tanti film o serie la protagonista femminile brillante e ambiziosa si accontenti di un partner che, in concreto, non offre nulla in termini di solidità o progetto personale. È come se questi personaggi maschili fossero scritti non per somigliare a uomini reali, ma per “non disturbare” la parabola narrativa della protagonista.
In molti casi, troviamo una protagonista femminile impegnata in una vita scandita dal lavoro quotidiano e dagli obiettivi professionali, con un forte focus sulla carriera. Il suo partner maschile, invece, compare prevalentemente nelle scene ambientate in casa, quando lei rientra dopo una giornata intensa. L’interazione tra i due si svolge per lo più in ambito domestico, con dialoghi, diverbi o gesti tipici della vita di coppia, che servono a segnalare l’evoluzione del loro rapporto.
Quello su cui voglio soffermarmi è il modo in cui viene rappresentato il personaggio maschile: è quasi sempre relegato all’ambiente domestico, con un ruolo funzionale solo a completare il quadro della relazione. Il suo lavoro è spesso poco chiaro, marginale o precario, e la sensazione che traspare è che sia a casa da ore, intento in attività quotidiane mentre aspetta il rientro della partner. In pratica, non ha uno sviluppo narrativo autonomo: esiste solo in funzione della protagonista.
Mi vengono in mente alcuni esempi come "Il diavolo veste Prada", dove il fidanzato di Andy è costantemente in secondo piano e sembra più un ostacolo emotivo che un personaggio a tutto tondo, oppure il secondo episodio della settima stagione di Black Mirror, dove si ritrova una dinamica simile.
Quello che però trovo davvero difficile da accettare è quanto questa rappresentazione cinematografica si discosti dalla realtà. Mi chiedo sinceramente quanto siano plausibili, nella vita vera, queste coppie in cui l’uomo sembra quasi un "buono a nulla", sempre a casa, con un ruolo passivo e privo di ambizione. Perché diciamocelo: nella realtà, al primo appuntamento, molte donne ti fanno il “terzo grado” — vogliono sapere che lavoro fai, quanto guadagni, che prospettive hai, che contatti frequenti. Ti classificano, spesso in modo molto pragmatico, in base a reddito, status, rete sociale e solidità personale (tralascio volutamente l’aspetto fisico, che meriterebbe un discorso a parte).
Alla luce di questo, mi pare ancora più forzato e irrealistico che in tanti film o serie la protagonista femminile brillante e ambiziosa si accontenti di un partner che, in concreto, non offre nulla in termini di solidità o progetto personale. È come se questi personaggi maschili fossero scritti non per somigliare a uomini reali, ma per “non disturbare” la parabola narrativa della protagonista.