sonnywortzik
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Nella nostra società, i disagi psicologici, in particolare la depressione, vengono spesso inquadrati come dei problemi esclusivamente individuali. Ci fanno credere che le malattie mentali siano squilibri chimici del cervello, e che la soluzione risieda nella terapia e nei farmaci. Questa visione crea un senso di isolamento, facendoci pensare che il nostro malessere sia solo colpa nostra e che ci sia qualcosa di fondamentalmente sbagliato in noi.
La verità è che la depressione non è un problema individuale, ma un fenomeno collettivo, radicato profondamente nella struttura delle società capitaliste. Non a caso, i tassi di depressione e ansia sono in costante aumento, specialmente nel mondo occidentale. La depressione non è una semplice "malattia mentale" nel senso tradizionale, ma una reazione sensata e, in un certo senso, naturale a un ambiente che aliena e rende infelici. Non c'è nulla di sbagliato in chi ne soffre; si tratta semplicemente di una reazione a una realtà disfunzionale.
Come sosteneva il filosofo Mark Fisher nel suo celebre libro Realismo Capitalista, il sistema ha un interesse diretto a medicalizzare il disagio psicologico. Inquadrare la depressione come uno squilibrio chimico individuale ha enormi vantaggi per il capitalismo:
Un altro sintomo di questo malessere sociale è la mercificazione dell'intimità. La nostra società, sempre più individualista, ci rende difficile costruire legami autentici e, di conseguenza, la terapia psicologica sta diventando un sostituto dell'amicizia e della comunità. L'atto di sfogarsi con un amico è diventato un tabù, visto come un peso per l'altra persona. Così, paradossalmente, finiamo per pagare 80 euro per un'ora di conversazione con qualcuno che finge di interessarsi a noi, offrendo consigli che un tempo avremmo potuto ricevere gratuitamente da un amico.
Come sottolineava anche Ted Kaczynski nel suo manifesto, la nostra società ci rende infelici e poi ci offre farmaci per tollerare questa infelicità, anziché rimuovere le cause che la generano. Gli antidepressivi, pertanto, non sono una cura, ma un mezzo per modificare il nostro stato interiore e renderci in grado di sopportare condizioni sociali che altrimenti troveremmo intollerabili.
Pertanto, per affrontare seriamente questa epidemia, dobbiamo guardare oltre la diagnosi individuale e iniziare a mettere in discussione le fondamenta della nostra società.



La verità è che la depressione non è un problema individuale, ma un fenomeno collettivo, radicato profondamente nella struttura delle società capitaliste. Non a caso, i tassi di depressione e ansia sono in costante aumento, specialmente nel mondo occidentale. La depressione non è una semplice "malattia mentale" nel senso tradizionale, ma una reazione sensata e, in un certo senso, naturale a un ambiente che aliena e rende infelici. Non c'è nulla di sbagliato in chi ne soffre; si tratta semplicemente di una reazione a una realtà disfunzionale.
Come sosteneva il filosofo Mark Fisher nel suo celebre libro Realismo Capitalista, il sistema ha un interesse diretto a medicalizzare il disagio psicologico. Inquadrare la depressione come uno squilibrio chimico individuale ha enormi vantaggi per il capitalismo:
- Rinforza l'individualismo atomistico: Ci convincono che la nostra malattia dipenda da uno squilibrio chimico nel nostro cervello, distogliendo l'attenzione dalle cause sociali del problema.
- Crea un mercato lucrativo: Le aziende farmaceutiche possono vendere i loro antidepressivi a un mercato in continua espansione, trasformando la sofferenza in profitto.
Un altro sintomo di questo malessere sociale è la mercificazione dell'intimità. La nostra società, sempre più individualista, ci rende difficile costruire legami autentici e, di conseguenza, la terapia psicologica sta diventando un sostituto dell'amicizia e della comunità. L'atto di sfogarsi con un amico è diventato un tabù, visto come un peso per l'altra persona. Così, paradossalmente, finiamo per pagare 80 euro per un'ora di conversazione con qualcuno che finge di interessarsi a noi, offrendo consigli che un tempo avremmo potuto ricevere gratuitamente da un amico.
Come sottolineava anche Ted Kaczynski nel suo manifesto, la nostra società ci rende infelici e poi ci offre farmaci per tollerare questa infelicità, anziché rimuovere le cause che la generano. Gli antidepressivi, pertanto, non sono una cura, ma un mezzo per modificare il nostro stato interiore e renderci in grado di sopportare condizioni sociali che altrimenti troveremmo intollerabili.
Pertanto, per affrontare seriamente questa epidemia, dobbiamo guardare oltre la diagnosi individuale e iniziare a mettere in discussione le fondamenta della nostra società.


