Oblomov

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CrudoDaVinci

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"A quel tempo era ancora giovane e benché non lo si potesse dire vivace, era comunque più vivace di adesso; eraancora pieno di aspirazioni, sperava sempre in qualche cosa, si aspettava molto dal destino e da se stesso; continuava aprepararsi ad entrare nell'arena, a sostenere una parte: innanzitutto, beninteso, nell'impiego governativo, che era stato loscopo principale della sua venuta a Pietroburgo. Poi aveva pensato anche a una parte da sostenere nella società; infine, comeremota prospettiva, al tempo della svolta fra giovinezza e età matura, le gioie della famiglia avevano sorriso alla suafantasia.Ma i giorni erano passati l'uno dopo l'altro, gli anni si erano susseguiti agli anni, la peluria si era trasformata in unairsuta barba, gli occhi avevano perso il loro splendore ed erano diventati due puntolini appannati, la figura gli si eraappesantita, i capelli avevano cominciato implacabilmente a cadere, i trent'anni erano suonati, ed egli non aveva progreditodi un passo, non aveva intrapreso nulla, e stava ancora sulla soglia di quella sua arena, nello stesso punto in cui era diecianni prima.

Tuttavia, non cessava di fare progetti e propositi, continuava a disegnare nella mente l'arabesco del suo avvenire;ma ad ogni anno che gli sfuggiva via doveva apportare qualche modifica e cancellare qualche particolare di quell'arabesco.La vita secondo lui si divideva in due metà: una fatta di lavoro e di noia, che per lui erano sinonimi; l'altra fatta diriposo e quieta allegria. Per questo, il principale campo di attività - l'impiego - fin dai primi tempi era stato per lui motivo dispiacevole perplessità.Cresciuto in una sperduta provincia, fra gli usi e i costumi miti e cordiali della terra natia, passato per vent'anni daun abbraccio all'altro di parenti, amici e conoscenti, egli era così impregnato di quell'atmosfera familiare da immaginare cheanche il futuro impiego dovesse essere una specie di occupazione familiare, sul tipo, ed esempio, delle negligentiannotazioni che faceva suo padre nel quadernetto delle entrate e delle uscite.Si figurava che gli impiegati di uno stesso ufficio formassero una sola famiglia strettamente unita, sempre vigili epronti ad aver cura della tranquillità e del piacere reciproci; che frequentare il luogo di lavoro non fosse affatto un'abitudineobbligatoria, alla quale bisognasse attenersi quotidianamente, e che il fango, l'afa, o semplicemente la luna di traversofossero pretesti sufficienti e legittimi per non andare in ufficio.Ma come c'era rimasto male quando aveva visto che ci voleva almeno un terremoto perché un impiegato in buonasalute non andasse in ufficio, e a Pietroburgo, neanche a farlo apposta, di terremoti non ce ne sono mai; certo, unainondazione poteva costituire un ostacolo, ma anche queste si verificano di rado.
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Dapprincipio, il ruolo che aveva pensato di sostenere in società gli era riuscito meglio.Nei primi anni trascorsi a Pietroburgo, al tempo della prima giovinezza, il suo viso dai lineamenti tranquilli sianimava più spesso; negli occhi, che sprigionavano bagliori di luce, di speranza, di forza, brillava più a lungo il fuoco dellavita. Egli si turbava, come tutti, sperava, si rallegrava e soffriva per un nonnulla.Ma tutto questo si riferiva a molto tempo prima, all'epoca felice in cui ci si illude di trovare in ogni uomo un amicosincero, ci si innamora di quasi tutte le donne e si è disposti ad offrire a ciascuna il cuore e la mano: cosa che taluni arrivanopersino a fare, rammaricandosene poi spesso per tutta la vita.In quei giorni beati, anche Il'ja Il’ič aveva ricevuto dalla schiera delle belle non pochi sguardi dolci, vellutati,addirittura appassionati, un sacco di sorrisi carichi di promesse, due o tre baci sia pure non in esclusiva, e molte strette di mano amichevoli, tanto forti da far piangere per il dolore.Peraltro, egli non si era mai lasciato irretire da quelle beltà, non era mai divenuto loro schiavo, e nemmeno loroassiduo ammiratore, perché il solo avvicinarsi alle donne comporta già troppe noie. Oblomov si limitava ad adorarle dalontano, a rispettosa distanza.
Di rado la sorte lo aveva spinto a frequentare una donna fino al punto di infiammarsene per più di un giorno e diritenersene innamorato. Per questo i suoi intrighi amorosi non erano divampati in passioni: essi si fermavano all'inizio, e perinnocenza, semplicità e purezza, non la cedevano in nulla alle storie d'amore di una qualsiasi collegiale.Soprattutto egli fuggiva le fanciulle pallide e tristi, quasi sempre con gli occhi neri, nei quali brillavano «i giornitormentati e le non caste notti», le fanciulle di cui nessuno sospetta gioie e dolori, che hanno sempre qualcosa da confidare,da raccontare, che quando devono parlare sussultano, scoppiano in un pianto improvviso, e poi di colpo gettano le braccia alcollo dell'amico, lo fissano a lungo, alzano gli occhi al cielo, dicono che sulla loro vita pesa una terribile maledizione, e avolte cadono perfino in deliquio. Egli evitava con timore queste giovani. La sua anima, ancora pura e vergine, aveva forseatteso il suo amore, il suo tempo, la sua patetica passione; ma poi, col passare degli anni, doveva aver smesso di attendere edi sperare.Con freddezza ancora maggiore, Il'ja Il’ič si era allontanato dalla folla dei suoi amici. Subito dopo la prima letteradello starosta che gli annunciava un cattivo raccolto e il mancato pagamento degli arretrati, aveva sostituito il suo primoamico, il cuoco, con una cuoca; poi aveva venduto i cavalli e infine aveva congedato gli altri «amici».
Quasi niente lo attirava fuori di casa, ed egli si confinò ogni giorno di più nel suo appartamento.Cominciò dapprima a sentire il disagio di dover rimanere vestito tutto il giorno, poi la pigrizia di andare a pranzo incasa d'altri, a meno che non si trattasse di conoscenti con cui era in confidenza, per lo più scapoli, dai quali poteva levarsi lacravatta, sbottonarsi il panciotto e magari «distendersi» e fare un pisolino di un'oretta. Presto anche i ricevimenti serali glivennero a noia: bisognava mettersi il frac, radersi tutti i giorni.Poiché aveva letto da qualche parte che solo i vapori del mattino sono salutari, mentre quelli della sera sono nocivi,cominciò a temere l'umidità.Malgrado tutte queste fisime, il suo amico Stolz riusciva a trascinarlo fra la gente; ma Stolz lasciava spessoPietroburgo per andare a Mosca, a Nižnij-Novgorod, in Crimea, e poi anche all'estero... e senza di lui Oblomov ripiombavafino agli occhi nella solitudine e nell'isolamento, dai quali poteva strapparlo solo qualcosa di eccezionale, che uscissedall'ordine della vita quotidiana; ma niente di simile accadeva mai, né era prevedibile che accadesse.Inoltre, col passare degli anni si erano riaffacciati una specie di infantile timidezza, il timore del pericolo e del maleche poteva venirgli da tutto ciò che non rientrava nella sfera della sua esistenza quotidiana: e ciò perché si era disabituatoalle molteplici parvenze del mondo esterno.Non lo spaventava, ad esempio, la crepa nel soffitto in camera da letto: ci era abituato; né gli passava per la testache l'aria eternamente viziata della stanza e la vita sedentaria in un luogo chiuso erano senza dubbio più perniciose per lasua salute che non l'umidità della sera; che riempirsi oltre misura lo stomaco tutti i giorni era una specie di lento suicidio: aqueste cose lui era abituato e non ne aveva paura.Non era abituato al movimento, alla vita, alla gente, al trambusto.In mezzo alla folla si sentiva soffocare; se saliva su una barca, lo faceva senza molta speranza di arrivare incolumeall'altra sponda; quando andava in carrozza, si aspettava che i cavalli si imbizzarissero e mandassero in pezzi la vettura.A volte era assalito da una vera fobia: aveva paura del silenzio che lo circondava, o anche solo di qualcosa chenemmeno lui sapeva definire, e si sentiva un formicolio per tutto il corpo. Talora sbirciava impaurito un angolo buio,temendo che l'immaginazione gli giocasse un tiro mancino facendogli apparire qualche fenomeno soprannaturale.Così si concluse anche il suo ruolo nella società. Aveva pigramente abbandonato tutte le speranze giovanili che loavevano deluso o che lui aveva deluso, tutti i cari ricordi tristi e lieti, che ad altri fanno battere il cuore anche alla sogliadella vecchiaia."
 
"Il dottore fece qualche altra domanda del genere, poi chinò la pelata e si mise a riflettere. Dopo due minuti, alzò discatto la testa e disse con tono deciso:«Se vivrà ancora per due o tre anni in questo clima e continuerà a starsene sdraiato, a mangiare cibi grassi epesanti... morrà di un colpo».Oblomov trasalì.«Che devo fare, allora? Me lo dica, per carità!», lo esortò Oblomov.«Quello che fanno gli altri: andare all'estero».«All'estero!», ripeté sbalordito Oblomov.«Sì, che c'è di strano?».«Ma andiamo, dottore, all'estero? Come è possibile?».«E perché no?».Oblomov, in silenzio, fece scorrere lo sguardo prima su se stesso, poi sullo studio, e ripeté macchinalmente:«All'estero!».«Che cosa glielo impedisce?».«Che cosa? Tutto...».«Come tutto? Forse non ha denaro?».«Sì, sì, ecco, proprio così, non ho denaro», esclamò con tono vivace Oblomov, rallegrandosi di questoimpedimento naturalissimo che gli offriva un'ottima difesa. «Guardi qua cosa mi ha scritto lo starosta... Dov'è la lettera,dove l'ho cacciata? Zachar!».«D'accordo, d'accordo», disse il dottore, «questo non mi riguarda; era mio dovere dirle che deve cambiare genere divita, luogo di residenza, aria, occupazioni... insomma, tutto».«Bene, ci penserò», disse Oblomov. «Ma dove dovrei andare, e a fare che?», chiese.«Vada a Kissingen o a Ems», prese a dire il medico, «dove passerà le acque durante i mesi di giugno e luglio; poi sirechi in Svizzera o nel Tirolo, per la cura dell'uva, e ci resti in settembre e ottobre...».«Cose da pazzi, nel Tirolo!», mormorò Il'ja Il’ič con voce appena udibile.«Poi, in un qualsiasi luogo asciutto, magari in Egitto...».«E poi?», pensò Oblomov.«Eviti le preoccupazioni e i dispiaceri...».«Fa presto a parlare, lei», osservò Oblomov. «Lei non riceve certe lettere dallo starosta....».«Deve tener lontani anche i pensieri», proseguì il medico.«I pensieri?».«Sì, le tensioni intellettuali».«E il progetto di riorganizzazione delle mie proprietà? Non se ne parla nemmeno!».«Faccia come vuole. Il mio dovere è solo quello di metterla sull'avviso. Bisogna tenersi lontano anche dallepassioni, che pregiudicano la cura. Deve cercare di distrarsi con l'equitazione, con la danza, con un'esercizio fisico moderatoall'aria aperta, prendendo parte a piacevoli conversazioni, specie con le signore, perché il suo cuore rallenti i battiti e ricevasolo sensazioni gradevoli».Oblomov lo ascoltava a testa bassa.«Poi?», chiese.«Poi, Dio la guardi dal leggere e scrivere! Affitti una villa con le finestre a mezzogiorno e molti fiori, e si circondidi musica e di donne...».«E il vitto?».«Eviti le carne di qualsiasi genere, come pure i farinacei e le gelatine. Può prendere brodi leggeri, verdure... Solo,mi raccomando: adesso il colera è quasi ovunque, perciò bisogna far ancora più attenzione... Può camminare circa otto oreal giorno. Si comperi un fucile...».«Oh, Signore!...», gemette Oblomov.«Infine», concluse il medico, «quando arriva l'inverno, vada a Parigi, e là, nel vortice della vita, si diverta senzapensieri: vada a teatro, ai balli, ai veglioni mascherati, a far gite fuori città, visite; faccia in modo che intorno a lei ci sianosempre amici, rumore, risa...».«Nient'altro?» chiese Oblomov con stizza malcelata.Il dottore rifletté.«Forse le gioverebbe l'aria di mare: prenda il piroscafo in Inghilterra e faccia un viaggio in America...».Si alzò per accomiatarsi.«Se seguirà i miei consigli alla lettera...».«Certo, certo, li seguirò senz'altro», lo rassicurò caustico Oblomov, accompagnandolo.Il dottore se ne andò lasciando Oblomov nello stato più miserando. Chiuse gli occhi, si mise le mani sulla testa, sirannicchiò sulla sedia e rimase lì senza guardare da nessuna parte, insensibile a tutto."
 
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"«Allora, che vita ti piace?», domandò Stolz.«Non quella che faccio adesso».«Che cosa, in particolare, non ti piace di questa vita?».«Tutto: le continue corse, l'eterno gioco delle meschine passioni, soprattutto l'avidità, il bisogno di tagliarsi legambe l'un l'altro, le chiacchiere, i pettegolezzi, il punzecchiarsi a vicenda, quello squadrarsi da capo a piedi; se ascolti leconversazioni, ti gira la testa, ti senti stordito. A prima vista, ti sembrano tutti intelligenti, ti par di leggere tanta dignità suiloro visi, ma appena li ascolti: "A questo hanno dato quello, questo ha ottenuto l'appalto." "Per quale ragione, di grazia?",grida qualcuno. "Quello ieri sera al club ha perso tutto al gioco: quell'altro ha guadagnato trecentomila rubli!". Che noia, chenoia, che noia!... Ma dov'è l'uomo? Dove si è nascosto? come fa a perdersi in queste futilità?».«Il mondo e la società devono pure occuparsi di qualcosa», disse Stolz, «ognuno ha i suoi interessi. È la vita...».«Il mondo, la società! Forse tu, Andrej, mi porti in questo mondo, in questa società proprio per farmi passare lavoglia di frequentarli. La vita: bella vita! Cosa c'è da cercare lì? Interessi dello spirito o del cuore? Guarda dunque dov'è ilcentro intorno al quale si muove tutto questo: non c'è un centro, non c'è niente di profondo, niente che arrivi al cuore. Sonotutti quanti dei cadaveri, tutti addormentati peggio di me questi individui che vivono nel mondo e nella società! Che cosa liguida nella vita? Certo, non se ne stanno sdraiati, tutto il giorno si affannano ad andare avanti e indietro come mosche, e ache pro? Entri in un salone e non ti stanchi mai di ammirare la simmetria con cui sono disposti gli ospiti, il tranquillo,pensoso atteggiamento con cui essi... giocano a carte. Un grande scopo della vita, non c'è che dire! Eccellente esempio peruna mente che ha bisogno di esercizio! E questi non sarebbero cadaveri? Forse non dormono per tutta la vita seduti? Perchéio sarei più colpevole di loro, se me ne sto sdraiato a casa mia e non mi rompo la testa con fanti, re e regine?».«Roba vecchia, questa, di cui si è già parlato un migliaio di volte», osservò Stolz. «Hai niente di più nuovo?».«E la nostra migliore gioventù, che cosa fa? Non dorme forse mentre balla, cammina, si fa scarrozzare per laProspettiva Nesvkij? Un vuoto, continuo susseguirsi di giorni! E guarda con quanta superbia e degnazione, con che ariasdegnosa i giovani guardano chi non è vestito come loro, chi non porta i loro nomi e i loro titoli. E si illudono, disgraziati, diessere al di sopra della folla. "Noi occupiamo cariche che nessuno, all'infuori di noi, può occupare; sediamo nella prima filadi poltrone; noi andiamo al ballo del principe N. dove siamo ammessi solo noi...". Ma quando si riuniscono fra loro, siubriacano e si azzuffano come selvaggi! E questi sarebbero gli uomini vivi, la gente che non dorme? E non è solo lagioventù: guarda gli uomini anziani. Si riuniscono, si scambiano inviti a pranzo, senza cordialità, senza bontà, senzareciproca simpatia! Si riuniscono a tavola, danno una serata, come andassero in ufficio, senza allegria, freddamente, pervantarsi del cuoco, del salone, per poi tagliare i panni addosso agli altri e farsi reciprocamente lo sgambetto. L'altro ieri apranzo, non sapevo dove guardare e sarei andato a nascondermi sotto la tavola quando hanno cominciato a fare a brandellila reputazione degli assenti: "Questo è uno stupido, quello è un vigliacco, un altro è un ladro, un altro ancora è unbuffone"... una vera caccia all'uomo! E mentre parlano, si scambiano occhiate significative: "se solo esci dalla porta, ce nesarà anche per te"... Perché si frequentano, se sono così? Perché si stringono la mano con tanto vigore? Mai una risatasincera, mai un barlume di simpatia! Si affannano per avere in casa il pezzo grosso, il nome famoso. "Da me c'è stato Tizio,sono andato da Caio", si vantantano poi... Ma che razza di vita è questa? Io non voglio saperne. Che cosa mi può insegnare?Che cosa ne ricavo?».«Sai che ti dico, Il'ja?», disse Stolz. «Il tuo modo di ragionare è antiquato: quello che hai detto si trova tutto neilibri di una volta. In fin dei conti, ti fa bene: almeno ragioni, non dormi. E poi, che altro c'è? Continua».«A che scopo continuare? Facci caso: qui nessuno ha il viso fresco e sano».«È colpa del clima», lo interruppe Stolz. «Anche il tuo viso è sciupato, e tu non corri, te ne stai sempre sdraiato».«Nessuno ha lo sguardo limpido, sereno», proseguì Oblomov, «tutti si trasmettono l'un l'altro preoccupazioni,angosce, pene, tutti sono alla morbosa ricerca di qualche cosa. Se almeno cercassero la verità, il bene per sé e per gli altri...no, il successo di un amico li fa impallidire. Uno ha un'altra idea fissa: domani deve passare in un ufficio pubblico, dove sitrascina una pratica da cinque anni; la parte avversa continua a spuntarla, e lui per cinque anni si porta quel chiodo nellatesta, con un solo desiderio: dare lo sgambetto all'altro e sulla sua caduta costruire l'edificio della propria fortuna. Fareanticamera sospirando per cinque anni: questo sarebbe il suo ideale, lo scopo della sua vita! Un altro si tormenta perché ècondannato ad andare ogni giorno in ufficio e a starci fino alle cinque; ma un altro ancora sospira con tristezza perché luinon ha questa fortuna...».«Sei un filosofo, Il'ja. Tutti si danno da fare per qualche cosa, solo a te non occorre mai niente!».«Per esempio, quel signore giallognolo con gli occhiali», continuò Oblomov, «mi si è messo alle costole per saperese avevo letto il discorso di un certo deputato; e mi ha guardato con tanto d'occhi quando gli ho detto che non leggo igiornali. E si è messo a parlare di Luigi Filippo come se fosse suo padre. Poi mi ha attaccato un altro bottone per sapere qualera, secondo me, il motivo della partenza da Roma dell'ambasciatore francese. Come è possibile condannarsi a imbottirsiogni giorno, vita natural durante, delle notizie dal mondo intero, e a gridare per tutta la settimana fino a perdere il fiato?Oggi Mehmet-Alì ha mandato una nave a Costantinopoli, e lui si lambicca il cervello: perché? Domani il Don Carlos fafiasco, e lui di nuovo tutto agitato. Là scavano un canale, qua mandano un distaccamento in Oriente; santi numi, è scoppiatol'incendio! E tutto sconvolto, si mette a correre e a gridare, come se i soldati marciassero contro di lui. Ponderano,chiacchierano a vanvera, ma in fondo si annoiano; tutto ciò non li interessa; sotto quelle grida c'è l'eterna sonnolenza! Tuttociò è a loro estraneo; è come se andassero in giro col cappello di un altro. Poiché non hanno niente da fare per contoproprio, si buttano di qua e di là, senza una direzione precisa. Sotto questo voler abbracciare il tutto c'è il vuoto, lamancanza di simpatia per tutto! Quanto a scegliere un modesto sentiero di lavoro, e seguirlo, scavare un solco profondo... èuna cosa noiosa, insignificante; qui non serve a nulla atteggiarsi a sapientoni, e non c'è nessuno a cui buttare polvere negliocchi.«Ma tu e io non ci siamo sparpagliati di qua e di là, Il'ja. Dov'è dunque il nostro modesto sentiero di lavoro?»chiese Stolz.Oblomov tacque all'improvviso.«Ecco, io completerò soltanto... il mi piano...», disse. «E che Iddio vi protegga!», aggiunse con dispetto. «Io non litocco, non cerco niente. Solo non trovo che la loro sia una vita normale. No, non è vita, ma un travisamento della norma,dell'ideale di vita che la natura ha additato come ideale all'uomo...».«E qual è questo ideale, questa norma di vita?».Oblomov non rispose.«Avanti, dimmi, che vita ti tracceresti tu?», insisté Stolz.«L'ho già tracciata».«E quale sarebbe? Su, parla, quale?».«Quale?», disse Oblomov girandosi sulla schiena e guardando il soffitto. «Be', me ne andrei in campagna».«E che cosa te lo impedisce?».«Il mio piano non finito. E poi non ci vorrei andare solo, ma con una moglie...».«Ah, ecco! Allora, Dio ti benedica, che cosa aspetti? Ancora tre o quattro anni, e nessuna donna vorrà piùsposarti...».«Che posso farci? si vede che non è destino», disse Oblomov con un sospiro."
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