mcanrew
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“Nei ragazzi c’è un deficit di apprendimento, non un deficit di punizione: non dobbiamo punirli di più ma aiutarli a imparare di più”: Daniele Novara, tra i massimi pedagogisti italiani, di fronte al fenomeno montante della violenza giovanile - dalle rapine davanti alle scuole ai pestaggi annunciati e poi diffusi via social -, fenomeno che occupa ogni giorno le pagine di cronaca cittadina, a Parma come nella vicina Piacenza in cui il pedagogista ha fondato 25 anni fa il Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti - spazza subito il discorso da rapide ricette repressive di una cosmesi urbana di facciata.
Se bambini e ragazzi agiscono una violenza sempre più frequente ed eclatante verso gli altri (e una violenza più nascosta ma ancora più pervasiva e spesso micidiale verso se stessi) a porsi in questione devono essere prima di tutto gli adulti nel loro ruolo di educatori.
“Ormai nei ragazzi e nelle ragazze c’è un vero deficit di apprendimento nella capacità di ascoltare i punti di vista diversi. A scuola non ci sono spazi di discussione e le lezioni sono al 70% frontali. Bambini e adolescenti non sviluppano l’attitudine al confronto e sono estremamente autoreferenziali”. Le uniche esperienze di conflitto, prosegue lo studioso, sono virtuali: “In un videogioco un ragazzino può sparare come un forsennato: è lui contro degli esseri virtuali. Progressivamente si perde la capacità di confrontarsi con un essere in carne ed ossa che non la pensa come te, che ostacola i tuoi desideri, che magari ti ruba la ragazza. E si riduce la competenza conflittuale ossia la capacità di gestire le contrarietà. Tra videogiochi e guerre, l’immaginario è cambiato: se qualcuno non ti dà ragione, allora lo puoi eliminare. Sembra un meccanismo molto semplice, ma teniamo conto che il cervello dei ragazzi è ancora immaturo e molto sensibile ai messaggi dicotomici: o con me o contro di me”.
Se i videogiochi spara-spara sono l’agenzia (dis)educativa per allenarsi a risolvere i contrasti eliminando l’altro, il porno è la scuola in cui si impara a ridurre la persona a oggetto: “Sul piano della sessualità c’è la novità dei siti porno che non esistevano per le generazioni precedenti. Oggi in due secondi raggiungi una piattaforma porno dove puoi imparare una sessualità meccanica, misogina, totalmente priva di ogni relazione, in cui la partner sessuale è solo una controparte utile per soddisfare impulsi primari”. In questo scenario, “un ragazzino, ma anche una ragazzina, perde il baricentro relazionale. Molti genitori, poi, preferiscono avere il figlio o la figlia adolescente chiuso in casa perché è emersa una nuova paturnia: le compagnie! E così nasce la figura assolutamente inedita dell’adolescente isolato: un ossimoro sul piano psico-evolutivo”. Questo isolamento genera violenza? “Certo, perché un adolescente isolato è incapace di relazionarsi e, nel momento in cui dovesse inserirsi in qualche compagnia, sarebbe incapace di entrare in relazione. Impari a stare con gli altri, stando con gli altri, non nell’isolamento della tua cameretta. Sempre meglio una compagnia di sbandati che l’isolamento”. La concomitanza di queste variabili – la mancanza di un territorio in cui imparare a discutere con gli altri, la chiusura in un mondo sempre più virtuale, un immaginario di guerra in cui puoi eliminare chi ti dà fastidio, i siti porno come scuola di affettività sessuale e l’isolamento nella propria cameretta – nella lettura del pedagogista, “non può che sfociare in un aumento degli episodi di violenza”.
Si tratta di un vero e proprio “baratro educativo”: siamo di fronte a “un nulla cosmico sul piano pedagogico ma in queste condizioni non cresce nessuno, non c’è possibilità di diventare grandi”. Come costruire una città in cui i ragazzi possano crescere ritrovando il loro baricentro relazionale, imparando a gestire la frustrazione, la rabbia e il conflitto? “Bisogna aprire centri di aggregazione giovanile e liberare spazi per poter giocare senza dover essere iscritti a una società agonistica. Poi, se una città di media grandezza come Parma o come Piacenza facesse un paio di rotonde in meno, basterebbe per pagare i centri estivi a tutti i ragazzini: se un genitore ha tre figli come fa a pagare il costo di un centro estivo per tutti e tre?” Sterile, quindi, invocare azioni repressive quando “c’è un totale abbandono in Italia del settore educativo che sembra non interessare a nessuno se non al business della tecnologia. I ragazzi interessano solo al business dei videogiochi e dei device digitali: oggi si cerca di vendere l’ultimo smartphone a bambini di dieci anni. Assurdo, in questo scenario di baratro educativo, lamentarsi quando accadono episodi di violenza giovanile”. E se gli episodi di aggressività occupano ogni giorno le pagine di cronaca cittadina, dilaga non vista anche un’altra violenza: “Quello che sta succedendo davvero è un forte aumento dell’autolesionismo tra i ragazzi: tagli, disturbi alimentari, abuso di alcol e suicidi sono molto aumentati. Sui giornali si dà tanta attenzione alla violenza agita dai ragazzi contro altri ma i dati più significativi sono quelli dei suicidi, gesti estremi che spesso non sono rubricati come tali”. Per uscire da questo baratro educativo bisogna cambiare rotta facendo scelte diverse: “È un disastro che tutti i soldi vengano spesi per cementificare le città invece che per mettere al primo posto la crescita delle nuove generazioni: occorre un riscatto del discorso educativo che deve essere una priorità perché noi siamo l’educazione che abbiamo ricevuto.”
Se bambini e ragazzi agiscono una violenza sempre più frequente ed eclatante verso gli altri (e una violenza più nascosta ma ancora più pervasiva e spesso micidiale verso se stessi) a porsi in questione devono essere prima di tutto gli adulti nel loro ruolo di educatori.
“Ormai nei ragazzi e nelle ragazze c’è un vero deficit di apprendimento nella capacità di ascoltare i punti di vista diversi. A scuola non ci sono spazi di discussione e le lezioni sono al 70% frontali. Bambini e adolescenti non sviluppano l’attitudine al confronto e sono estremamente autoreferenziali”. Le uniche esperienze di conflitto, prosegue lo studioso, sono virtuali: “In un videogioco un ragazzino può sparare come un forsennato: è lui contro degli esseri virtuali. Progressivamente si perde la capacità di confrontarsi con un essere in carne ed ossa che non la pensa come te, che ostacola i tuoi desideri, che magari ti ruba la ragazza. E si riduce la competenza conflittuale ossia la capacità di gestire le contrarietà. Tra videogiochi e guerre, l’immaginario è cambiato: se qualcuno non ti dà ragione, allora lo puoi eliminare. Sembra un meccanismo molto semplice, ma teniamo conto che il cervello dei ragazzi è ancora immaturo e molto sensibile ai messaggi dicotomici: o con me o contro di me”.
Se i videogiochi spara-spara sono l’agenzia (dis)educativa per allenarsi a risolvere i contrasti eliminando l’altro, il porno è la scuola in cui si impara a ridurre la persona a oggetto: “Sul piano della sessualità c’è la novità dei siti porno che non esistevano per le generazioni precedenti. Oggi in due secondi raggiungi una piattaforma porno dove puoi imparare una sessualità meccanica, misogina, totalmente priva di ogni relazione, in cui la partner sessuale è solo una controparte utile per soddisfare impulsi primari”. In questo scenario, “un ragazzino, ma anche una ragazzina, perde il baricentro relazionale. Molti genitori, poi, preferiscono avere il figlio o la figlia adolescente chiuso in casa perché è emersa una nuova paturnia: le compagnie! E così nasce la figura assolutamente inedita dell’adolescente isolato: un ossimoro sul piano psico-evolutivo”. Questo isolamento genera violenza? “Certo, perché un adolescente isolato è incapace di relazionarsi e, nel momento in cui dovesse inserirsi in qualche compagnia, sarebbe incapace di entrare in relazione. Impari a stare con gli altri, stando con gli altri, non nell’isolamento della tua cameretta. Sempre meglio una compagnia di sbandati che l’isolamento”. La concomitanza di queste variabili – la mancanza di un territorio in cui imparare a discutere con gli altri, la chiusura in un mondo sempre più virtuale, un immaginario di guerra in cui puoi eliminare chi ti dà fastidio, i siti porno come scuola di affettività sessuale e l’isolamento nella propria cameretta – nella lettura del pedagogista, “non può che sfociare in un aumento degli episodi di violenza”.
Si tratta di un vero e proprio “baratro educativo”: siamo di fronte a “un nulla cosmico sul piano pedagogico ma in queste condizioni non cresce nessuno, non c’è possibilità di diventare grandi”. Come costruire una città in cui i ragazzi possano crescere ritrovando il loro baricentro relazionale, imparando a gestire la frustrazione, la rabbia e il conflitto? “Bisogna aprire centri di aggregazione giovanile e liberare spazi per poter giocare senza dover essere iscritti a una società agonistica. Poi, se una città di media grandezza come Parma o come Piacenza facesse un paio di rotonde in meno, basterebbe per pagare i centri estivi a tutti i ragazzini: se un genitore ha tre figli come fa a pagare il costo di un centro estivo per tutti e tre?” Sterile, quindi, invocare azioni repressive quando “c’è un totale abbandono in Italia del settore educativo che sembra non interessare a nessuno se non al business della tecnologia. I ragazzi interessano solo al business dei videogiochi e dei device digitali: oggi si cerca di vendere l’ultimo smartphone a bambini di dieci anni. Assurdo, in questo scenario di baratro educativo, lamentarsi quando accadono episodi di violenza giovanile”. E se gli episodi di aggressività occupano ogni giorno le pagine di cronaca cittadina, dilaga non vista anche un’altra violenza: “Quello che sta succedendo davvero è un forte aumento dell’autolesionismo tra i ragazzi: tagli, disturbi alimentari, abuso di alcol e suicidi sono molto aumentati. Sui giornali si dà tanta attenzione alla violenza agita dai ragazzi contro altri ma i dati più significativi sono quelli dei suicidi, gesti estremi che spesso non sono rubricati come tali”. Per uscire da questo baratro educativo bisogna cambiare rotta facendo scelte diverse: “È un disastro che tutti i soldi vengano spesi per cementificare le città invece che per mettere al primo posto la crescita delle nuove generazioni: occorre un riscatto del discorso educativo che deve essere una priorità perché noi siamo l’educazione che abbiamo ricevuto.”