mcanrew
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Una delle scommesse vincenti della campagna elettorale di Donald Trump è stata quella di cercare i voti degli uomini, nonostante di solito votino meno delle donne. La macchina elettorale repubblicana ha mirato soprattutto ad attirare quelli giovani, ispanici e neri, che sono tra i gruppi demografici che negli Stati Uniti hanno i tassi più alti di astensionismo. Trump aveva una carta unica per convincerli, la sua «immagine ipermascolina», come la definisce il New York Times, e ha puntato tutto su quella.
«La sua prima tappa della campagna elettorale dopo la condanna penale — ricorda il quotidiano newyorchese — è stata un evento dell’Ultimate Fighting Championship. Una sera è entrato alla Convention Nazionale Repubblicana sulle note di “It’s a Man’s Man’s Man’s Man’s World” di James Brown. Ha dedicato relativamente poco tempo alle interviste con i media tradizionali e ha invece registrato una serie di interviste in podcast con comici uomini e altre personalità da “fratello” che hanno raggiunto il tipo di pubblico che, secondo i dati del suo sondaggista Tony Fabrizio, era più ricettivo al messaggio di Trump. Tra queste, un podcast di tre ore con Joe Rogan che ha totalizzato più di 45 milioni di visualizzazioni su YouTube e ha ottenuto l’appoggio di Rogan alla vigilia delle elezioni. Gli assistenti e gli alleati, come Musk, hanno fatto appelli espliciti agli uomini affinché votassero per Trump nelle ultime ore della competizione».
Quello che è importante però è che il voto degli uomini per Trump è innanzitutto un voto antisistema: se al posto di Kamala Harris ci fosse stato Joe Biden, o un altro candidato uomo dell’establishment democratico, probabilmente sarebbe cambiato qualcosa, ma non sarebbe poi cambiato così tanto. Trump è stato scelto dalla maggioranza degli elettori americani — non era stato così nel 2016 — perché è chiaro che la sua seconda candidatura ha un obiettivo preciso: distruggere il sistema politico americano come lo conosciamo. Ciò che Biden, Harris e i democratici hanno agitato come uno spauracchio è stato in realtà il suo punto di forza. Perché per molti americani il “sistema” ha smesso di funzionare da tempo. È inutile dire che la macroeconomia va meglio di come sia mai andata negli ultimi anni, se le persone comuni si possono permettere sempre meno cose a causa dell’inflazione e del prezzo alle stelle di case e affitti. E soprattutto è inutile parlare di dati in miglioramento se gli elettori sanno che le loro personali prospettive non miglioreranno.
Gli elettori di Trump non sono deplorevoli, come aveva sventuratamente detto nel 2016 l’allora candidata democratica Hillary Clinton, sono destituiti. E questo è particolarmente frustrante per gli uomini, che invece sono cresciuti, storicamente, aspettandosi di poter contare su determinati privilegi (quelli offerti tradizionalmente proprio dall’essere uomini, come per esempio guadagnare di più e fare più facilmente carriera).
La cosa che spiega meglio il risultato di queste elezioni è un grafico pubblicato a ottobre sempre dal New York Times.
Mostra come è cambiato il reddito relativo di alcuni gruppi demografici negli ultimi 40 anni. Gli uomini bianchi senza un titolo di studio universitario nel 1980 guadagnavano più della media, e molto più della media delle persone bianche, nere ispaniche ed asiatiche. Oggi guadagnano meno di tutte queste categorie e anche meno delle donne laureate. Anche i neri e gli ispanici in generale, inoltre, guadagnano meno delle donne laureate.
Il sistema ha smesso di funzionare per una categoria che fino a poco fa era al suo centro. Trump ha offerto a questi gruppi due cose insieme:
1) la promessa di distruggere quel sistema — e poco importa se non ha alternative credibili, quello che conta oggi è la rabbia;
2) una rivalsa di genere per quegli uomini destituiti sulle donne come Kamala Harris (colte e in carriera) che oggi guadagnano più di loro.
«Trump — ha scritto Elizabeth Spiers sul Nyt — ha offerto un’idea regressiva di mascolinità in cui il potere sulle donne è un diritto di nascita. Non è una coincidenza che questa idea sia piaciuta in particolare agli uomini bianchi: si interseca con altri tipi di diritti, tra cui l’idea che i bianchi siano superiori alle altre razze e più qualificati a ricoprire posizioni di potere, e che ogni successo delle donne e delle minoranze sia l’ingiusto prodotto delle politiche di diversità e inclusione, delle azioni positive e delle agevolazioni governative. Per gli uomini insoddisfatti del loro status, questa visione offre un gruppo di persone da incolpare, che sembra più tangibile dell’incolpare problemi sistemici come la crescente disuguaglianza economica e la difficoltà di adattarsi ai cambiamenti tecnologici e culturali». La rabbia verso capri espiatori è sempre stata un potente strumento di mobilitazione politica, come insegna la storia.
«La sua prima tappa della campagna elettorale dopo la condanna penale — ricorda il quotidiano newyorchese — è stata un evento dell’Ultimate Fighting Championship. Una sera è entrato alla Convention Nazionale Repubblicana sulle note di “It’s a Man’s Man’s Man’s Man’s World” di James Brown. Ha dedicato relativamente poco tempo alle interviste con i media tradizionali e ha invece registrato una serie di interviste in podcast con comici uomini e altre personalità da “fratello” che hanno raggiunto il tipo di pubblico che, secondo i dati del suo sondaggista Tony Fabrizio, era più ricettivo al messaggio di Trump. Tra queste, un podcast di tre ore con Joe Rogan che ha totalizzato più di 45 milioni di visualizzazioni su YouTube e ha ottenuto l’appoggio di Rogan alla vigilia delle elezioni. Gli assistenti e gli alleati, come Musk, hanno fatto appelli espliciti agli uomini affinché votassero per Trump nelle ultime ore della competizione».
Quello che è importante però è che il voto degli uomini per Trump è innanzitutto un voto antisistema: se al posto di Kamala Harris ci fosse stato Joe Biden, o un altro candidato uomo dell’establishment democratico, probabilmente sarebbe cambiato qualcosa, ma non sarebbe poi cambiato così tanto. Trump è stato scelto dalla maggioranza degli elettori americani — non era stato così nel 2016 — perché è chiaro che la sua seconda candidatura ha un obiettivo preciso: distruggere il sistema politico americano come lo conosciamo. Ciò che Biden, Harris e i democratici hanno agitato come uno spauracchio è stato in realtà il suo punto di forza. Perché per molti americani il “sistema” ha smesso di funzionare da tempo. È inutile dire che la macroeconomia va meglio di come sia mai andata negli ultimi anni, se le persone comuni si possono permettere sempre meno cose a causa dell’inflazione e del prezzo alle stelle di case e affitti. E soprattutto è inutile parlare di dati in miglioramento se gli elettori sanno che le loro personali prospettive non miglioreranno.
Gli elettori di Trump non sono deplorevoli, come aveva sventuratamente detto nel 2016 l’allora candidata democratica Hillary Clinton, sono destituiti. E questo è particolarmente frustrante per gli uomini, che invece sono cresciuti, storicamente, aspettandosi di poter contare su determinati privilegi (quelli offerti tradizionalmente proprio dall’essere uomini, come per esempio guadagnare di più e fare più facilmente carriera).
La cosa che spiega meglio il risultato di queste elezioni è un grafico pubblicato a ottobre sempre dal New York Times.
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Mostra come è cambiato il reddito relativo di alcuni gruppi demografici negli ultimi 40 anni. Gli uomini bianchi senza un titolo di studio universitario nel 1980 guadagnavano più della media, e molto più della media delle persone bianche, nere ispaniche ed asiatiche. Oggi guadagnano meno di tutte queste categorie e anche meno delle donne laureate. Anche i neri e gli ispanici in generale, inoltre, guadagnano meno delle donne laureate.
Il sistema ha smesso di funzionare per una categoria che fino a poco fa era al suo centro. Trump ha offerto a questi gruppi due cose insieme:
1) la promessa di distruggere quel sistema — e poco importa se non ha alternative credibili, quello che conta oggi è la rabbia;
2) una rivalsa di genere per quegli uomini destituiti sulle donne come Kamala Harris (colte e in carriera) che oggi guadagnano più di loro.
«Trump — ha scritto Elizabeth Spiers sul Nyt — ha offerto un’idea regressiva di mascolinità in cui il potere sulle donne è un diritto di nascita. Non è una coincidenza che questa idea sia piaciuta in particolare agli uomini bianchi: si interseca con altri tipi di diritti, tra cui l’idea che i bianchi siano superiori alle altre razze e più qualificati a ricoprire posizioni di potere, e che ogni successo delle donne e delle minoranze sia l’ingiusto prodotto delle politiche di diversità e inclusione, delle azioni positive e delle agevolazioni governative. Per gli uomini insoddisfatti del loro status, questa visione offre un gruppo di persone da incolpare, che sembra più tangibile dell’incolpare problemi sistemici come la crescente disuguaglianza economica e la difficoltà di adattarsi ai cambiamenti tecnologici e culturali». La rabbia verso capri espiatori è sempre stata un potente strumento di mobilitazione politica, come insegna la storia.