Pioveva da settimane su Velabria, una cittadina costiera del Sud, sospesa tra il sale del mare e l’umidità delle leggende. Le case, annerite dal tempo, parevano affondare lentamente nei vicoli scivolosi. Le persiane erano sempre chiuse, tranne quelle delle donne.
Le donne di Velabria non parlavano molto. Ma si specchiavano.
Si specchiavano ovunque.
Specchiavano sé stesse nei vetri delle botteghe, nell’acqua dei tombini colmi, nei coltelli lucidi del mercato del pesce. Lo facevano con una lentezza quasi liturgica. E mentre lo facevano, accarezzavano l’ombelico, come fosse un talismano o una ferita sacra.
Il forestiero, dottor Almeric Visani, era giunto in paese per ordinare gli archivi parrocchiali. Era un razionalista convinto, con un cuore spento e le mani sempre fredde. Non dava importanza ai sussurri. Non fino a quando notò le strane assenze dei pescatori, il silenzio degli uomini e i canti notturni che sembravano venire dalle grotte sotto la scogliera.
Una notte di pioggia fine e cielo senza luna, Almeric seguì una figura snella e nuda fino a una conca naturale, dove il mare si mescolava alla terra in una pozza scura come vetro liquido. Lì, una dozzina di donne danzava lentamente attorno all’acqua, sfiorando il proprio ventre. I capelli bagnati coprivano i seni come alghe. I loro occhi erano chiusi. Ma ridevano.
Ridevano senza voce.
Solo un gorgoglio.
Come acqua che si muove nella gola di qualcosa di troppo antico per avere ancora un nome.
La più giovane di loro si chinò sulla pozza, sussurrando parole a se stessa o forse all’immagine riflessa. Poi, lentamente, con un dito, tracciò un cerchio attorno al proprio ombelico. L’acqua ribollì.
Almeric tentò di fuggire, ma scivolò.
Fu allora che vide i volti riflessi nella pozza: non erano quelli delle donne, ma copie distorte, con pupille troppo larghe e sorrisi che sembravano squarci. Lo fissavano da sotto, come se aspettassero solo un suo cedimento per emergere.
Tre giorni dopo, trovarono il suo corpo nella sacrestia, seduto con la schiena dritta e un piccolo specchio conficcato nell’ombelico. Sotto la pioggia, sul pavimento, qualcuno aveva scritto con dita bagnate:
“Ci specchiamo per partorire la realtà.
Noi siamo le Piscione.
E ciò che scende… sale.”
Velabria è ancora lì, nella nebbia.
E le donne si specchiano ancora. Anche se non c'è più nulla da riflettere.
Le donne di Velabria non parlavano molto. Ma si specchiavano.
Si specchiavano ovunque.
Specchiavano sé stesse nei vetri delle botteghe, nell’acqua dei tombini colmi, nei coltelli lucidi del mercato del pesce. Lo facevano con una lentezza quasi liturgica. E mentre lo facevano, accarezzavano l’ombelico, come fosse un talismano o una ferita sacra.
Il forestiero, dottor Almeric Visani, era giunto in paese per ordinare gli archivi parrocchiali. Era un razionalista convinto, con un cuore spento e le mani sempre fredde. Non dava importanza ai sussurri. Non fino a quando notò le strane assenze dei pescatori, il silenzio degli uomini e i canti notturni che sembravano venire dalle grotte sotto la scogliera.
Una notte di pioggia fine e cielo senza luna, Almeric seguì una figura snella e nuda fino a una conca naturale, dove il mare si mescolava alla terra in una pozza scura come vetro liquido. Lì, una dozzina di donne danzava lentamente attorno all’acqua, sfiorando il proprio ventre. I capelli bagnati coprivano i seni come alghe. I loro occhi erano chiusi. Ma ridevano.
Ridevano senza voce.
Solo un gorgoglio.
Come acqua che si muove nella gola di qualcosa di troppo antico per avere ancora un nome.
La più giovane di loro si chinò sulla pozza, sussurrando parole a se stessa o forse all’immagine riflessa. Poi, lentamente, con un dito, tracciò un cerchio attorno al proprio ombelico. L’acqua ribollì.
Almeric tentò di fuggire, ma scivolò.
Fu allora che vide i volti riflessi nella pozza: non erano quelli delle donne, ma copie distorte, con pupille troppo larghe e sorrisi che sembravano squarci. Lo fissavano da sotto, come se aspettassero solo un suo cedimento per emergere.
Tre giorni dopo, trovarono il suo corpo nella sacrestia, seduto con la schiena dritta e un piccolo specchio conficcato nell’ombelico. Sotto la pioggia, sul pavimento, qualcuno aveva scritto con dita bagnate:
“Ci specchiamo per partorire la realtà.
Noi siamo le Piscione.
E ciò che scende… sale.”
Velabria è ancora lì, nella nebbia.
E le donne si specchiano ancora. Anche se non c'è più nulla da riflettere.