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Emanuele Ragnedda non era certo un tipo morigerato. Chi lo conosce parla di una vita, quella del 41enne, sempre sul filo degli eccessi.
Poi l’incontro con Cinzia Pinna, una ragazza generosa e fragile e l’inizio di una frequentazione, di un percorso di vita parallelo. Qualcosa, d’altronde, sembrava accomunarli.
Entrambi senza problemi economici, i loro genitori hanno messo a frutto decenni di lavoro duro, pionieri nel turismo e nell’agricoltura d’avanguardia e di qualità. A Castelsardo, costa nord-ovest, i Pinna hanno costruito un piccolo impero nella ristorazione (Cormorano e Baga Baga), i Ragnedda in Costa Smeralda con la cantina Capichera.
Cinzia ha scelto di distaccarsi dalla famiglia, di provare a camminare sulle proprie gambe. Diplomata all’istituto alberghiero di Sassari, qualche anno fra cucina e tavoli in sala, poi stagionale per scelta, lontano da casa: «Meglio avere poco, ma senza dover nulla agli altri». Una cara amica racconta: «Voleva essere libera, ma soprattutto non sentirsi oppressa da vincoli e convenzioni. Una ragazza d’oro, generosa. Premurosa: quando è nata mia figlia, è venuta a trovarmi e mi ha detto che era disponibile ad aiutarmi».
Dall’altra parte c’è Emanuele, che invece ha scalato in fretta le gerarchie dell’azienda ed è diventato responsabile delle vendite all’estero. Figlio unico, non gli è mancato e non si è mai fatto mancare nulla. Un po’ sbruffone e spericolato. Soldi, anche troppi. «Un’auto nuova? — si vantava con gli amici — Fatto». Anche lui, tuttavia, voleva dimostrare di poter avere successo con le proprie forze. E oltre all’azienda «tutta mia» (impiantata comunque su un terreno ereditato) aveva messo su una finanziaria con la quale ambiva a cospicui investimenti e rendite (fantomatici — si maligna ad Arzachena — anche se sostenuti da consistenti fondi drenati dai conti di famiglia).
Poi il gorgo delle dipendenze e delle fragilità, come raccontano amici e conoscenti. Cinzia alternava allegria e aggressività, anche con i suoi cari. Talvolta oltre i limiti. Con un provvedimento giudiziario in corso fino a qualche mese fa, ha dovuto essere allontanata dalla famiglia. «Aveva problemi, ma stava cercando di uscirne — spiega un compagno di lavoro — e aveva soltanto bisogno di essere aiutata».
Su Cinzia Pinna a Castelsardo il coro è unanime: «Era una brava ragazza, molte delle cose che hanno detto di lei non sono vere». «Aveva molti più pregi che difetti e se ha commesso degli errori, lo ha fatto perché non ha saputo tenersi lontano da amicizie pericolose». Anche sui social il ricordo della ragazza è sulla stessa scia. Sono apparsi decine di post in cui si legge «ci mancherai».
Emanuele era preda dei suoi eccessi, anche caratteriali: egocentrismo, desiderio di piacere (soprattutto alle donne) e di essere al centro dell’attenzione, ossessioni. «Girava con la pistola e spesso la mostrava». Si era stancato di avere una fidanzata regolare e preferiva relazioni saltuarie, «tampinava, con insistenza eccessiva, ogni ragazza che gli capitasse a tiro».
Pochi giorni dopo aver ucciso Cinzia, quando già dormiva in barca nel porto di Cannigione, «aveva importunato alcune ragazze che lavoravano in un bar, facendo loro pesanti apprezzamenti». E il giorno della festa per i 60 anni della madre — evento al quale si è presentato calandosi da un elicottero — si è sentito a suo agio quando ha potuto sfoderare una battuta: «Sono venuto volentieri, ma non posso trattenermi molto. Vado via subito soprattutto perché — rivolgendosi alla mamma — non voglio rubarti la scena».
Ma la scena se l’è ripresa subito, avviandosi all’uscita del ristorante e risalendo sull’elicottero.
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