La Commissione Europea ha imposto il passaggio all’auto elettrica (Ev) non tenendo conto dell’assenza di una rete capillare di colonne di ricariche e di produttori di batterie (la componente di maggior costo), oltre a non prevedere i sussidi per l’acquisto di Ev indispensabili a raggiungere le economie di scala necessarie perché i produttori possano ridurre i prezzi.
Gli investimenti delle case automobilistiche europee in Ev si sono rivelati un bagno di sangue, anche per via dei ritardi accumulati rispetto alle cinesi che ne hanno approfittato per dominare il loro mercato domestico dove prevalgono le vendite di Ev, riducendo così drasticamente la quota di mercato in Cina delle auto europee ferme al motore endotermico.
Le case europee hanno poi tagliato la produzione dei modelli più economici, per spingere quelli di fascia alta dai margini più elevati e aumentare i profitti: col risultato che ora si trovano con un elevato stock di vetture invendute, i margini falcidiati, gli esuberi dovuti al calo delle vendite (la Volkswagen chiude stabilimenti in Germania per la prima volta nella sua storia), e si trova la concorrenza cinese in casa.
Di fronte a una crisi di tale portata l’Europa non ha una strategia comune, salvo aumentare al 45% i dazi sulle auto cinesi, con francesi e italiani che votano a favore perché
Stellantis non vende in Cina, e tedeschi contrari perché la Cina è un mercato importante per Bmw e Mercedes, e temono ritorsioni da parte di Pechino.
È ora che i governi europei capiscano che è anche nel loro interesse definire una politica comune per recuperare la competitività perduta, o avranno sempre più vita breve travolti dallo scontento e crescente risentimento dei cittadini che vedono continuamente erodere il loro benessere e prospettive reddituali.
Da
Stellantis ai piccoli produttori della componentisca sono in tanti quelli che rischiano di licenziare o mettere in cassa integrazione migliaia e migliaia di lavoratori nei prossimi mesi.
Una bomba sociale ed economica pronta ad esplodere e di cui gli elettori chiederanno conto al governo Meloni, che è in carica da oltre due anni e non potrà scaricare altrove le responsabilità.