ZupponeDiLatte
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Oggi, in occasione di Ognissanti, sono andato al cimitero con mio padre. Distese interminabili di nomi di persone che non ci sono più. Ogni centimetro mi sussurrava la finitudine e la mestizia proprie dell'esperienza umana. Finalmente incrociamo le lapidi dei parenti defunti. Il loro sguardo si posa torvo, quasi giudicante, su di me. Spiccico tra me e me qualche preghiera, mentre il pensiero che la loro linea di sangue finirà con me s'insinua con fare martellante, quasi non mi da' tregua. Morirò esattamente come avrò vissuto: solo. E nessuno arriverà mai a deporre un fiore sulla mia lapide. Da bambino credevo di essere speciale, di essere destinato a fare grandi cose: nulla di più lontano dalla realtà. Ero e sono solo un volgare insetto che fa spesso ricorso a un armamentario di lemmi aulici solo per dissimulare la sua fondamentale assenza di cose intelligenti da dire. Quel bambino tuttavia aveva una luce autentica che promanava dai suoi occhi, molti anni prima che essi si spegnessero definitivamente, lasciando posto a un tetro nichilismo e una cupa rassegnazione. Quando guardo la foto di quel bambino sorridente e pieno di voglia di vivere vorrei scomparire, tornare indietro nel tempo solo per dirgli che mi dispiace tantissimo, che ho fatto del mio meglio ma ho fallito miseramente, che le cose non sarebbero mai dovute andare a finire così. Subito dopo gli occhi si rivolgono ai miei genitori, che tanti sacrifici hanno fatto per me, ormai prossimi alla senescenza ma ancora forieri di un insperato spirito giovanilistico: ero davvero io il figlio che speravano di avere? Probabilmente no. Come dargli torto. Mi ucciderei se non fosse per loro e se avessi abbastanza fegato. Del resto, non ho mai avuto il coraggio neppure di difendere le mie idee per paura di ripercussioni, figurarsi. Curioso che il periodo di più profonda depressione che abbia mai sperimentato coincida proprio con il momento in cui, almeno esteriormente, sembro finalmente destarmi dal mio torpore. Infatti sto per laurearmi in giurisprudenza, eppure non riesco a pensare a nulla che non siano i lunghi anni trascorsi a studiare (raccogliendo peraltro risultati non esattamente incoraggianti) esami per niente appassionanti, materie aride, libroni sciatti. Non volevo nemmeno laurearmi, ma sapete come funzionano certe cose, "oggi senza laurea non vai da nessuna parte", "non vorrai mica finire sotto un ponte?", "noi vogliamo che nostro figlio sia laureato", eccetera eccetera. Eccomi qui a 27 anni, larva di me stesso, non come chi raggiunge un traguardo, ma come chi ha trascorso minuti interminabili abbarbicato a un pilastro pregando che il terremoto finisse, e ora che finalmente è finito non può fare altro che raccogliere i cocci. Cerco di non pensarci. Prendo il telefono e apro un social a caso. Una femminista anglofona con i capelli fucsia dice che la "male loneliness epidemic" è una teoria del complotto patriarcale, un'altra appartenente alla sua stessa tribù rincara la dose: "anche se esiste non m'interessa, evidentemente se la meritano". Resto sinceramente basito di fronte a cotanta demenzialità e totale assenza di empatia. Forse non esisto davvero, forse è tutto un Truman Show. "Nulla di nuovo sul fronte occidentale", sussurro a me stesso sorridendo beffardamente e scuotendo un po' la testa, e vado a prepararmi un caffè.