Vivevo un sentimento profondo e struggente per una ragazza che, purtroppo, si trovava invischiata in una relazione terribilmente tossica. Il suo fidanzato, un uomo che oggi definirei con tratti narcisistici e borderline, la sottoponeva a un ciclo continuo di abusi emotivi: la prendeva, la lasciava, per poi partire tranquillamente in vacanza con una sua ex compagna e, al suo ritorno, riprenderla con sé come se nulla fosse accaduto. Un meccanismo perverso che alimentava in lei una dipendenza affettiva spaventosa, quasi tangibile.
Io e la sua migliore amica, testimoni impotenti di questo strazio, unimmo le forze. Facemmo tutto ciò che era umanamente possibile per aprirle gli occhi, per convincerla a spezzare quelle catene che la tenevano legata a lui. E alla fine, con enorme fatica, ci riuscì. Ma la libertà, si sa, a volte porta con sé il peso delle conseguenze. Chiaramente, iniziò a soffrire dei postumi di quella dipendenza, un vuoto e un dolore lancinanti. Ricordo un episodio emblematico della sua disperazione: pur di ricevere un misero bacio sulla guancia da quell'uomo, arrivò al punto di farsi sfiorare, quasi investire, dalla sua auto. Un gesto estremo che la diceva lunga sulla sua fragilità di allora.
In quel periodo, io stesso stavo ancora elaborando un lutto pesantissimo: la perdita di mio fratello, avvenuta circa un anno prima. Nonostante il mio dolore, il mio cuore era interamente per lei. Ero innamorato, sì, ma incastrato in quella che comunemente viene definita la "legge dell'amico", la temuta "friendzone". Un giorno, o meglio, una notte, dopo una delle nostre lunghe conversazioni in cui cercavo di dissuaderla dal compiere sciocchezze dettate dalla sofferenza, lei mi guardò con un'intensità che mi sorprese e mi disse: "Sei così dolce... perché non andiamo a vivere insieme?".
Il mio cuore ebbe un sussulto, ma la ragione e, soprattutto, il rispetto profondo che nutrivo per lei, prevalsero. Dissi di no. Non avrei mai potuto approfittare di un momento di tale vulnerabilità emotiva. Sarebbe stato come tradire la sua fiducia, e non glielo avrei mai fatto, per quanto la desiderassi. Ciò non toglie che, se alle due di notte mi chiamava minacciando di farsi del male, io correvo da lei senza esitazione. La sua famiglia, purtroppo, sembrava non comprendere appieno la sua sofferenza, o forse non sapeva come aiutarla, lasciandola spesso sola con i suoi demoni.
Passò circa un altro anno. Lei aveva trovato lavoro a Napoli, un impiego che la assorbiva completamente, e i nostri incontri si erano fatti sempre più rari. Ogni tanto riuscivamo a sentirci, e io continuavo a offrirle i miei consigli, per quel che potevano valere a distanza. Ma sentivo che un non detto pesante aleggiava tra noi, almeno da parte mia.
Così, un giorno, presi il coraggio a due mani. Decisi che dovevo confessarle i miei sentimenti, liberarmi di quel peso. Non avendo modo di vederla di persona, le inviai una lunga registrazione vocale su WhatsApp, sei minuti ininterrotti in cui aprii completamente il mio cuore, senza filtri, senza riserve.
La sua risposta non si fece attendere. Mi disse di essere sinceramente commossa dalle mie parole, dalla profondità dei miei sentimenti. Tuttavia, con delicatezza, spiegò che non poteva prendere in considerazione un fidanzamento. La ragione? Non voleva rischiare di rovinare la nostra amicizia, un legame che, evidentemente, per lei era prezioso e da preservare.
Qualche tempo dopo, il destino volle che la incrociassi alla stazione, ma solo da lontano. Non ebbi il coraggio di avvicinarmi, ma la osservai. Il suo aspetto mi strinse il cuore. Si percepiva chiaramente quanto quel nuovo lavoro la stesse logorando: mi aveva raccontato di turni massacranti, dalle 12 alle 14 ore al giorno, incluso il tempo del viaggio, per uno stipendio che si aggirava a malapena intorno ai mille euro.
Vederla così, quasi incamminata su un sentiero di lenta autodistruzione, mi provocò una commozione profonda, quasi un dolore fisico. Mi ritrovai a pensare, con un velo di tristezza, che forse non si era resa conto – e so che anche lei, come me, è una persona credente – che forse Dio, attraverso la mia presenza e il mio affetto sincero, le stava offrendo una via per rendere la sua vita un po' più leggera, un supporto stabile in un momento così turbolento. Era come se un'ancora di salvezza le fosse stata tesa, e lei, forse per paura, forse per non averla riconosciuta in quel momento, l'avesse lasciata andare. E quella consapevolezza, ancora oggi, mi lascia un profondo senso di amarezza e impotenza.
Io e la sua migliore amica, testimoni impotenti di questo strazio, unimmo le forze. Facemmo tutto ciò che era umanamente possibile per aprirle gli occhi, per convincerla a spezzare quelle catene che la tenevano legata a lui. E alla fine, con enorme fatica, ci riuscì. Ma la libertà, si sa, a volte porta con sé il peso delle conseguenze. Chiaramente, iniziò a soffrire dei postumi di quella dipendenza, un vuoto e un dolore lancinanti. Ricordo un episodio emblematico della sua disperazione: pur di ricevere un misero bacio sulla guancia da quell'uomo, arrivò al punto di farsi sfiorare, quasi investire, dalla sua auto. Un gesto estremo che la diceva lunga sulla sua fragilità di allora.
In quel periodo, io stesso stavo ancora elaborando un lutto pesantissimo: la perdita di mio fratello, avvenuta circa un anno prima. Nonostante il mio dolore, il mio cuore era interamente per lei. Ero innamorato, sì, ma incastrato in quella che comunemente viene definita la "legge dell'amico", la temuta "friendzone". Un giorno, o meglio, una notte, dopo una delle nostre lunghe conversazioni in cui cercavo di dissuaderla dal compiere sciocchezze dettate dalla sofferenza, lei mi guardò con un'intensità che mi sorprese e mi disse: "Sei così dolce... perché non andiamo a vivere insieme?".
Il mio cuore ebbe un sussulto, ma la ragione e, soprattutto, il rispetto profondo che nutrivo per lei, prevalsero. Dissi di no. Non avrei mai potuto approfittare di un momento di tale vulnerabilità emotiva. Sarebbe stato come tradire la sua fiducia, e non glielo avrei mai fatto, per quanto la desiderassi. Ciò non toglie che, se alle due di notte mi chiamava minacciando di farsi del male, io correvo da lei senza esitazione. La sua famiglia, purtroppo, sembrava non comprendere appieno la sua sofferenza, o forse non sapeva come aiutarla, lasciandola spesso sola con i suoi demoni.
Passò circa un altro anno. Lei aveva trovato lavoro a Napoli, un impiego che la assorbiva completamente, e i nostri incontri si erano fatti sempre più rari. Ogni tanto riuscivamo a sentirci, e io continuavo a offrirle i miei consigli, per quel che potevano valere a distanza. Ma sentivo che un non detto pesante aleggiava tra noi, almeno da parte mia.
Così, un giorno, presi il coraggio a due mani. Decisi che dovevo confessarle i miei sentimenti, liberarmi di quel peso. Non avendo modo di vederla di persona, le inviai una lunga registrazione vocale su WhatsApp, sei minuti ininterrotti in cui aprii completamente il mio cuore, senza filtri, senza riserve.
La sua risposta non si fece attendere. Mi disse di essere sinceramente commossa dalle mie parole, dalla profondità dei miei sentimenti. Tuttavia, con delicatezza, spiegò che non poteva prendere in considerazione un fidanzamento. La ragione? Non voleva rischiare di rovinare la nostra amicizia, un legame che, evidentemente, per lei era prezioso e da preservare.
Qualche tempo dopo, il destino volle che la incrociassi alla stazione, ma solo da lontano. Non ebbi il coraggio di avvicinarmi, ma la osservai. Il suo aspetto mi strinse il cuore. Si percepiva chiaramente quanto quel nuovo lavoro la stesse logorando: mi aveva raccontato di turni massacranti, dalle 12 alle 14 ore al giorno, incluso il tempo del viaggio, per uno stipendio che si aggirava a malapena intorno ai mille euro.
Vederla così, quasi incamminata su un sentiero di lenta autodistruzione, mi provocò una commozione profonda, quasi un dolore fisico. Mi ritrovai a pensare, con un velo di tristezza, che forse non si era resa conto – e so che anche lei, come me, è una persona credente – che forse Dio, attraverso la mia presenza e il mio affetto sincero, le stava offrendo una via per rendere la sua vita un po' più leggera, un supporto stabile in un momento così turbolento. Era come se un'ancora di salvezza le fosse stata tesa, e lei, forse per paura, forse per non averla riconosciuta in quel momento, l'avesse lasciata andare. E quella consapevolezza, ancora oggi, mi lascia un profondo senso di amarezza e impotenza.