Premio Nobel a Maria Corina Machado, leader oppositrice venezuelana serva di USA e Israele

Gelointenso_isback

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Ormai da tempo questo premio (ed i corrispondenti 930.000 euro) viene consegnato a personaggi su cui gli USA investono per sovvertire governi e che non hanno nulla a che vedere con la pace.

#mariacorinamachado, a cui il premio è stato assegnato ieri, da anni chiede pubblicamente agli USA di invadere militarmente il Venezuela per poi poter liberalizzare tutte le imprese energetiche del paese e consegnare le ricchezze del sottosuolo alle multinazionali.
La storia racconta quali devastazioni provocano i soldati di Washington e gli uomini della CIA quando decidono di mettere a ferro e fuoco un paese, è difficile conciliare tutto ciò con i principi di un premio chiamato "Nobel per la Pace".

Nel 2018 la Machado arrivò addirittura a scrivere una lettera a Netanyahu e a Macri (presidente filo USA argentino) chiedendo un intervento contro il presidente Maduro, era l'epoca in cui dalla Colombia venivano infiltrati in Venezuela paramilitari di ultradestra per compiere sabotaggi alle strutture elettriche ed attentati a leader politici chavisti.
Pochi mesi fa, durante l'attacco militare di Israele all'Iran, tornò a chiedere "un intervento analogo contro il Venezuela".

Chiedere l'invasione del proprio paese è un reato che nelle democrazie occidentali viene punito col carcere, la Machado in questi decenni è stata libera di farlo senza essere arrestata; ricordiamo quando nel 2005, in piena invasione statunitense dell'Iraq (che causò un milione di morti civili), lei fu ricevuta da George W. Bush a cui chiese di intervenire per abbattere il governo Chávez; in precedenza, nel 2002, le andò male quando appoggiò il colpo di stato in Venezuela durato tre giorni, firmando il documento che riconosceva il golpista Carmona.

Alleata di Israele, che nel 2021 definì su twitter "un genuino alleato della libertà", ha promesso a tale stato lo spostamento della Ambasciata venezuelana a Gerusalemme e l'ingresso commerciale nel paese con acquisto di armi qualora lei o un suo candidato dovessero diventare presidenti del Venezuela (come sta facendo Milei in Argentina), la Machado fu inoltre destituita nel 2014 dall'incarico di deputata per aver violato l'articolo 191 della Costituzione accettando l'incarico di Ambasciatrice di Panama nella Organizzazione degli Stati Americani in funzione anti Maduro.

L'elenco degli atti contrari alla legge è lungo e facilmente riscontrabile in una ricerca su internet ma oggi la domanda fondamentale è un'altra: il premio alla Machado sarà usato dagli USA, attualmente presenti con 10.000 marines, una portaerei ed un sottomarino nucleare, di fronte alle coste venezuelane, per giustificare un intervento armato da tempo voluto ma a cui manca la scusa per giustificarlo di fronte all'opinione pubblica?

I link con i video di una delle tante interviste con cui la Machado chiede un intervento militare statunitense e dell'appoggio ad Israele sono nei commenti al post.
 
Sembrano un mucchio di balle raccontate, non ci credo a una virgola di quello che c'e' scritto.
Sta di fatto che la venezuela sta nella miseria, fossi in loro qualche pensierino per cambiare governo lo farei
 
Molti temevano davvero che Donald Trump potesse vincere il Premio Nobel per la Pace.
Chi lo detesta — e sono tantissimi — era letteralmente terrorizzato da questa eventualità. Quando il nome del vincitore è stato finalmente annunciato, si è percepito un collettivo sospiro di sollievo. Eppure, il solo fatto che in molti abbiano creduto possibile una sua vittoria dimostra qualcosa di interessante: non era affatto un’ipotesi assurda. Era un’eventualità a cui, consciamente o meno, ci eravamo preparati.

Questo ci dice anche un’altra cosa: che l’accordo — o tregua, o pace, chiamatela come volete — raggiunto in Medio Oriente, e in particolare in Palestina, è stato percepito come un evento di portata storica, potenzialmente in grado di influenzare le scelte del Comitato di Oslo.
Sia chiaro: Trump non avrebbe mai potuto vincerlo davvero. Non è il “tipo da Nobel”, e la narrazione che ne fa la stampa tradizionale, quella che inevitabilmente orienta il giudizio del Comitato, non è compatibile con l’immagine di un uomo di pace. Eppure, il solo fatto che se ne sia parlato dice molto sul peso politico delle sue azioni e sul cambiamento di paradigma che ha imposto alla diplomazia internazionale.

Il paradosso, però, è che la vittoria di María Corina Machado in Venezuela è, in un certo senso, anche una vittoria di Trump.
La Machado appartiene infatti a quella galassia conservatrice-liberale-libertaria americana che, pur con differenze di contesto, condivide radici ideali e culturali con la destra trumpiana: il culto della libertà individuale, la difesa del libero mercato, l’opposizione frontale ai regimi autoritari e al socialismo assistenzialista.

In fondo, Trump aveva già tracciato quella rotta: una politica estera fondata sul pragmatismo, sull’equilibrio di potere più che sull’ideologia, come dimostrarono gli Abraham Accords, gli accordi di normalizzazione tra Israele e diversi Paesi arabi. Una visione “realista” della pace, che non nasce dai buoni sentimenti ma da rapporti di forza nuovi, talvolta scomodi.

Ed è qui che il cerchio si chiude: il Nobel a María Corina Machado non è solo un riconoscimento personale, ma un segnale.
Dopo anni in cui il premio sembrava appannaggio del progressismo morale, Oslo torna a premiare una figura che parla la lingua della libertà individuale, del coraggio civile e della resistenza ai regimi. È il ritorno — forse inatteso — di un certo spirito reaganiano nel cuore dell’Europa: l’idea che la pace non è figlia della debolezza, ma della forza morale e politica di chi crede nella libertà come valore assoluto. Da questo punto di vista, non sorprende che la vincitrice del Nobel abbia ringraziato Donald Trump, perché in fondo la sponda di riferimento è quella.

Ma come può davvero influire questo Nobel sul Venezuela?

E qui iniziano le note dolenti. Il chavismo di Nicolás Maduro e Diosdado Cabello, con tutta la sua sterminata corte di generali e il suo sistema di prebende, privilegi e paure, è molto più solido di quanto si creda. È un potere radicato, capillare, che non si regge più su un’ideologia, ma su un intreccio di interessi, timori e complicità.

La struttura militare venezuelana — con oltre duemila generali, più che in tutti gli Stati Uniti messi insieme — è il vero pilastro del regime.
Ogni promozione, ogni incarico, ogni concessione economica è una forma di fidelizzazione. Molti comandano reparti che non esistono davvero, ma ricevono stipendi, carburante, privilegi, concessioni minerarie, licenze per l’importazione o il contrabbando. In un Paese dove tutto è collassato, il potere si regge su un’architettura di rendite e favori che nessuno ha interesse a mettere in discussione.

I venezuelani desiderano la democrazia, sì, ma non con quell’impeto furioso che può rovesciare un regime. Quel tempo, quello delle proteste oceaniche e disperate — a cui anch’io ho partecipato — sembra finito per sempre. È svanito, sostituito da una rassegnazione calma. In parte perché molti si sono adattati, trovando nella continuità del sistema una forma di sicurezza, un salario, una routine. In parte perché l’alternativa — l’incertezza, il caos, la fame — fa più paura della dittatura stessa.

Dopo le ultime elezioni rubate da Maduro, di cui nessuno ha mai conosciuto i veri risultati, non è successo nulla. Nessuna manifestazione, nessuna rivolta. La piazza è rimasta vuota, silenziosa. Nessuno ama Maduro, ma se riesci a sopravvivere, e qualche dollaro circola, non hai voglia di rischiare la vita per abbatterlo. È la logica perversa di ogni dittatura che redistribuisce le briciole del potere: ti tiene in vita quel tanto che basta da non farti ribellare.

E così María Corina Machado resta sola.
Sola a difendere un’idea di libertà e democrazia che il popolo condivide a parole ma meno nei fatti. Sola contro un regime che ha imparato a rendere la rassegnazione una forma di consenso.

La verità, cruda ma innegabile, è che la dittatura di Maduro cadrà solo con una spinta esterna. Non una guerra, non uno sbarco, ma con un’azione militare mirata da parte di chi può davvero muovere gli equilibri internazionali. E Machado lo sa.
Per questo guarda a Trump, e lo ringrazia. Perché, al di là dei giudizi ideologici, è l’unico che potrebbe — con un solo gesto — far franare la fragile impalcatura di consenso su cui si regge il potere di Maduro.


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Piero Armenti

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