Una giornata strana

Una giornata strana
Oggi è una giornata strana,mi sono svegliato alle sei e mezza perché ho avuto un lutto in famiglia.Stando in una stanza dell'obitorio mi sono reso conto di cosa e la morte,prima ne avevo paura ma ora non più di tanto,la morte da fuori può essere un riposo,dopo la vita di merda che uno fa,eppure quando muori non senti più nulla,sei morto non esiste più la vita nulla,dormi beatamente,certo e un peccato perchè io voglio che la vita non finisce mai,ci sono molte cose da fare e non basta una vita per farle tutte,ma la morte c'è quindi non possiamo farci nulla,non possiamo evitarla in nessun modo,sono contento di avere un approccio diverso con la morte,ora mi tocca solo morire senza soffrire,così la morte è bella,oppure morire facendo la cosa che più mi piace
(Daniel Lumera)

Niente è più vivo della Morte. Una delle più grandi maestre a nostra disposizione. Lo psicologo statunitense Abraham Maslow, padre della famosa “gerarchia dei bisogni”, dopo l’esperienza di un infarto quasi fulminante, scrisse: “Il confronto con la morte, e il suo rinvio, rende tutte le cose così preziose, così sacre e meravigliose che io provo più forte che mai l'impulso ad amarle, ad abbracciarle e farmene travolgere... La morte con la sua onnipresente possibilità rende l’amore, l’amore appassionato, più vicino”. In una società che demonizza la morte, che la scaccia e fa gli scongiuri, che vive dando importanza a ciò che è effimero, transitorio e inconsistente, esplorare il significato della morte è sicuramente qualcosa di necessario e importante, capace di dare profondità e valore alla vita. Vediamo perché.
La piena consapevolezza della morte ci induce naturalmente ad apprezzare in maniera più intensa e profonda il dono della vita, ci dà il coraggio di esplorare noi stessi, di affrontare gli irrisolti, porta chiarezza sui valori autentici, ci avvicina alla comprensione dello scopo e del proposito della nostra esistenza e ci spinge a compiere azioni significative. In questi anni di ricerca personale una delle linee di approfondimento è stata proprio l’accompagnamento alla morte e l’elaborazione del lutto e della sofferenza. In questo frangente ho avuto modo di vedere come la morte abbia, paradossalmente, svelato molto circa il significato della vita: infatti, tutte le persone che ho accompagnato, e che hanno avuto la possibilità di rimanere lucide fino all’ultimo, hanno compreso proprio alla fine che il senso ultimo non consiste nel raggiungere ricchezza, potere e fama, ma imparare ad amare e fiorire nell’intelligenza e nella saggezza del cuore. In tutte queste persone è affiorata la consapevolezza profonda che tutto ciò̀ a cui si erano visceralmente aggrappati durante il corso dell’esistenza nel momento finale diventa privo di sostanza e significato reale. Non sto dicendo che queste cose non siano importanti. Sto semplicemente ricordando che lo scopo della vita è un altro e che è importante realizzarlo il prima possibile, senza aspettare quell’evento. In uno dei più significativi accompagnamenti che ho fatto, negli ultimi giorni della sua vita la persona mi ripeté più volte questa frase: “Mi dispiace solo di non essermene accorto prima”. “Di cosa?”, gli chiesi. “Dell’amore”, mi disse, “che siamo immersi nell’amore. Costantemente. Non lo riconoscevo. Sono stato distratto tutta la vita, ma ora la morte mi ha dato gli occhi per vedere, la chiarezza per capire e ancora qualche respiro per celebrarlo”. Ogni morte è unica e significativa. Contiene in sé degli insegnamenti fondamentali che portano ricchezza, significato, proposito e qualità nella nostra vita.



La morte è maestra non solo per chi muore, ma anche per chi accompagna e per chi continua il suo cammino qui, se si è disposti ad ascoltarla quando si è ancora in vita. È un tempo per entrare nelle più profonde dimensioni dell’umanità e, a mio avviso, sono quattro i suoi insegnamenti più importanti:
1. Non dare nulla per scontato. Meravigliati di ogni istante ancora concesso e siine grato. Arriverà il momento in cui accetteremo pienamente e consapevolmente che si tratta solo di un’esperienza, quella umana. Scopriremo allora che il corpo, l’energia vitale, le emozioni, la mente e lo spirito sono degli strumenti straordinari a nostra disposizione per sperimentare ciò che chiamiamo esistenza. Cosa faremo con essi? Onoreremo quest’occasione e li useremo per scopi realmente nobili? Nostra è la scelta. Perché, in fondo, solo quando avremo accettato senza riserve e senza attaccamento alcuno la condizione transitoria dell’esperienza che stiamo vivendo, diventeremo autenticamente disposti a servire gli altri e noi stessi attraverso un amore sincero. Il servire sarà allora un riflesso della nostra libertà e della nostra consapevolezza. E a quel punto tutto, ma proprio tutto, dall’amore più folle al dolore più grande, diventerà un’occasione per celebrare questo miracolo attraverso la meraviglia.
2. Ricordati che l’unica vera urgenza è quella di amare. La morte ci insegna a non vergognarci di amare, di manifestare ciò che sentiamo e di ringraziare le persone che amiamo. Apre la mente alla vera natura dell’esistenza: l’impermanenza. Dona una nuova prospettiva che dà valore a ogni singolo gesto, a ogni singolo respiro, unico e irripetibile. Quando entriamo realmente e consapevolmente in contatto con l'impermanenza e la transitorietà della vita, accogliendola senza più riserve, apprezziamo infinitamente di più il suo valore. Non vogliamo perdere neanche un istante, ma abitare ogni presente portandoci completamente nella sua esperienza. Nasce spontaneamente in noi la voglia di vivere pienamente e usare il dono di ogni istante che ci sarà concesso in maniera responsabile.
3. Lascia andare il superfluo e risolvi i sospesi. Scopri le cose che contano davvero nella tua vita, quelle che, quando crolla tutto, rimangono in piedi a sostenerti. L’espressione latina memento mori (ricordati che devi morire) trova origine nell’antica Roma, quando i generali rientravano vittoriosi nella città e sfilavano per le strade, raccogliendo dalla folla onori e glorie. Nel culmine di questa cerimonia antichissima e solenne, che veniva chiamata “Trionfo”, un umile schiavo teneva l’alloro della vittoria sul capo del generale e sussurrava al suo orecchio alcune parole rituali: Respice post te! Hominem te memento! ("Guarda dietro di te! Ricordati che sei un uomo!"). Un ammonimento e un richiamo all’essenzialità, contro la vanagloria, la superbia e il delirio di onnipotenza. Differentemente da ciò che si possa pensare, esplorare l’esistenza della morte con i giusti strumenti meditativi non è un’esperienza che porta tristezza, angoscia o paura, ma al contrario genera intensità, consapevolezza, pienezza e integrità nella qualità della nostra vita. Impariamo a vivere con ciò che conta davvero e risolviamo i sospesi come se fosse davvero l’ultimo periodo della vita. In questo modo possiamo ritrovare una leggerezza straordinaria e migliorare enormemente la qualità della nostra vita.
4. Niente di tutto ciò che vedi ti appartiene davvero, se non la tua presenza consapevole in questo istante. Scorri insieme alla vita. Attaccarsi al passato o alle aspettative del futuro, agli oggetti, alle situazioni, alle persone e non lasciarle libere è motivo di sofferenza. Per alcune persone arriva un momento, quando si avvicinano alla morte, nel quale devono congedarsi dai propri cari, ringraziare ciò che è stato e aprirsi all’ignoto. In quei momenti l’attaccamento al passato, alle persone che si amano o al proprio corpo complica le cose ed è motivo di dolore, per se stessi e per gli altri. Questa liberazione e non attaccamento è una condizione che dovremmo ricercare durante il corso della vita, senza aspettare gli ultimi istanti. Questo stato di coscienza di libertà e leggerezza non vuol dire non amare o smettere di progettare insieme alle persone a noi care. Al contrario, significa lasciarle libere e non nutrire attaccamento. L’amore vero non è attaccamento, ma libertà. Attaccarsi al passato, al dolore, alle persone e anche all’amore crea sofferenza. Così come resistere alla corrente di un fiume in piena presuppone uno sforzo sovrumano. Niente di tutto ciò che vediamo ci appartiene davvero, se non la nostra presenza consapevole in questo istante.
 
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