[WORKAHOLISM] Dipendenza da lavoro

Tony Ciccione

Well-known member
Whitepillato
WORKAHOLISM - La dipendenza da lavoro.
Quando il lavoro può essere definito una dipendenza? Quando si sente un bisogno eccessivo e compulsivo di lavorare, spesso a scapito della propria salute fisica, mentale e delle relazioni personali, si parla di dipendenza da lavoro, detta anche Workaholism.

Il Workaholism è una dipendenza più che socialmente accettata e spesso sottovalutata. Viviamo in un'epoca di competizione sfrenata, è normale che questo disturbo venga addirittura visto come un qualcosa di positivo.
Io ne sono stato dipendente per un certo periodo della mia vita, circa 1 anno e mezzo, finché non sono rimasto completamente bruciato.
Ad oggi, seppur a ritmi molto meno frenetici, non credo sia cambiato molto: tra la gestione dei server, il mio progetto da sviluppare, lo studio e le attività di vita quotidiana, mi rendo conto di essere completamente assorbito dai miei impegni.
Come ho scritto in un 3D, se va bene dormo 5 ore scarse a notte, e perdere tempo - come scrivere su questo forum - mi da estremamente fastidio; eppure anche se lavorassi non riuscirei a computare più di tanto, probabilmente conterei i pixel del monitor piuttosto che fare qualcosa di produttivo. Dormire? Mi sentirei in colpa e non ci riuscirei comunque.

Mi rendo conto che sia la scelta sbagliata, ma sento che inconsciamente vorrei tornare al prime, alle performance di quell'anno e mezzo da incorniciare, seppur questo abbia avuto un tragico epilogo. Paradossalmente quel sentirmi morire (nel senso letterale) mi faceva sentire vivo, e ogni serie da 48 ore - avete letto bene, quarantotto ore - mi convinceva di essere onnipotente.
Ero diventato una CPU, il mio sogno insomma. Una mia conoscente mi definì un Sig. Eichmann: avevo una tabella che eseguivo in modo impeccabile, nei tempi indicati, con margine d'errore 5m massimo. Una follia della mente, il gioiello umano della tecnica.

Voi avete mai avuto esperienze del genere? Oppure avete conosciuto gente così?
 
[...] mi farebbe vomitare sgobbare 12 ore al giorno per le autorità nasoniche
Lavoro per me, mica per i ratti sionisti.

Da cosa pensi che sia causata e da cosa derivi la tua ossessione per la produttività lavorativa?
Credo dipenda da due fattori:

1) Da piccolo, i miei genitori quando mi vedevano giocare mi tiravano le orecchie, non perché non andassi bene a scuola (anzi), ma perché non ero abbastanza bravo quanto gli altri. Poi c'erano anche i miei fratelli, io sono il maggiore, quindi dovevo aiutare anche loro con i compiti e sbrigare qualcosa in casa: in pratica non c'era mai tempo per me. Quando giocavo lo facevo di nascosto, e provavo come un senso di vergogna.
// Fa abbastanza ridere questo, considerando che i miei fratelli invece giocano dalla mattina alla sera e studiano/fanno poco e niente, hahaha.

2) Io dalla terza media circa mi sono disaffezionato allo studio, facevo il minimo indispensabile. Ero stanco di essere un cane da competizione. Mi sono reso conto solo dopo di quanto fosse realmente importante lo studio, quindi dal quarto superiore feci una remuntada accademica clamorosa.
Da quel momento sono passato dal giudizio dei miei genitori ad uno più spietato: il mio. Proprio per il fattore (1) ho un super-io molto radicato e potente, quindi ho iniziato a pretendere sempre di più da me, fino all'assurdo. Il fatto è che comunque vada sono mediocre, e non ho particolari talenti, devo fare 10x quello che fanno gli altri solo per andare in pari.

Da una prospettiva interiore credo di non aver mai veramente vissuto in vita mia; la mia è un'esistenza vuota che colmo con il lavoro, esattamente come il 99% dei dipendenti da lavoro. Dietro l'ansia del divenire c'è il terrore del presente, perché l'essere è messo in discussione, come a negarsi il diritto di vita.
 
Mi ci sono un po' rivista in alcune parti... Ho avuto un periodo simile, in cui pretendevo troppo da me stessa e faticavo molto di più rispetto agli altri per ottenere risultati discreti. Come hai sottolineato tu, nella maggior parte dei casi è colpa dell’educazione ricevuta dai genitori, che ci hanno imposto un modello simile e che noi, con gli anni, abbiamo assorbito. Anche io tutt’ora mi sento in colpa se devo riposare, ma allo stesso tempo non riesco a concentrarmi su quello che dovrei. Forse questa è una risposta del nostro corpo e della mente. Io per sbloccarmi, dovevo prendermi qualche giorno di riposo totale forzato, proprio cambiare aria, fare un viaggetto se possibile, niente forum (sempre se è possibile). Continuare così potrebbe portare anche alla depressione e a uno stallo che può durare mesi.
 
Ti sei risposto da solo, non si possono mantenere certi ritmi, non solo per la salute mentale ma anche per la performance lavorativa. Anche io lavoro in proprio e certi periodi mi sento schiavizzato da me stesso, ma ad un periodo intenso devo alternare un periodo chill, sennò mi rincoglionisco. Riconosco che c è un certo piacere nell'annullarsi nel lavoro, ma credo sia più ricollegabile alla necessità di riempire il classico vuoto interiore tanto decantato dalla psicoterapia
 
[...] ma credo sia più ricollegabile alla necessità di riempire il classico vuoto interiore tanto decantato dalla psicoterapia
Come ho scritto più volte, ho una scarsa considerazione di queste branche della medicina.

Magari sono troppo ingegnere, ma se un processo non è tracciabile non può essere dimostrata la sua efficacia. Ecco perché per me sono al pari dei cartomanti, solo con qualche base statistica in aggiunta. Preferisco gli psichiatri, la pillola funziona 9/10 ed è immediata soluzione (seppur un tampone). Io parlo allo specchio con me stesso, e credo di fare tanto quanto 30 sedute di cartomanzia psichiatrica.
 
WORKAHOLISM - La dipendenza da lavoro.
Quando il lavoro può essere definito una dipendenza? Quando si sente un bisogno eccessivo e compulsivo di lavorare, spesso a scapito della propria salute fisica, mentale e delle relazioni personali, si parla di dipendenza da lavoro, detta anche Workaholism.

Il Workaholism è una dipendenza più che socialmente accettata e spesso sottovalutata. Viviamo in un'epoca di competizione sfrenata, è normale che questo disturbo venga addirittura visto come un qualcosa di positivo.
Io ne sono stato dipendente per un certo periodo della mia vita, circa 1 anno e mezzo, finché non sono rimasto completamente bruciato.
Ad oggi, seppur a ritmi molto meno frenetici, non credo sia cambiato molto: tra la gestione dei server, il mio progetto da sviluppare, lo studio e le attività di vita quotidiana, mi rendo conto di essere completamente assorbito dai miei impegni.
Come ho scritto in un 3D, se va bene dormo 5 ore scarse a notte, e perdere tempo - come scrivere su questo forum - mi da estremamente fastidio; eppure anche se lavorassi non riuscirei a computare più di tanto, probabilmente conterei i pixel del monitor piuttosto che fare qualcosa di produttivo. Dormire? Mi sentirei in colpa e non ci riuscirei comunque.

Mi rendo conto che sia la scelta sbagliata, ma sento che inconsciamente vorrei tornare al prime, alle performance di quell'anno e mezzo da incorniciare, seppur questo abbia avuto un tragico epilogo. Paradossalmente quel sentirmi morire (nel senso letterale) mi faceva sentire vivo, e ogni serie da 48 ore - avete letto bene, quarantotto ore - mi convinceva di essere onnipotente.
Ero diventato una CPU, il mio sogno insomma. Una mia conoscente mi definì un Sig. Eichmann: avevo una tabella che eseguivo in modo impeccabile, nei tempi indicati, con margine d'errore 5m massimo. Una follia della mente, il gioiello umano della tecnica.

Voi avete mai avuto esperienze del genere? Oppure avete conosciuto gente così?

Mi rivedo un po in quello che hai scritto.

Io son sempre stato un gran lavoratore, ho avuto anche io il mio workaholism time, poi lavorando nell'IT ciclicamente c'è sempre un periodo di alta produttività (solitamente con nuovi progetti stimolanti) in cui producevo tanto e così velocemente che questa cosa mi faceva sentire bene e soddisfatto.
Nel mio prime ho scritto tonnellate di codice che chatgpt spostati, poi quando scrivevo codice anche per tirare su un'intera infrastruttura cloud (IaC) e vederla scalare e venir utilizzata da migliaia di utenti in contemporanea mi sentivo quasi un semidio. A volte era un ossessione, se non andavo a spulciare ogni singolo repo, anche al di fuori del mio orticello, anche fatto da qualcun altro, non ero contento, mi piaceva capire il perche di una cosa, e a volte anche dire con arroganza che si poteva fare in un altro modo. Insomma sentivo il potere e potevo anche esercitarlo. Questa cosa mi faceva sentire vivo.
Ma ho dedicato anche piu di quello che potevo al lavoro. La soddisfazione nell ultimo periodo è morta, ho capito che era un premio autoreferenziale, vuoto, la magia che ci vedevo io la potevo condividere con al piu qualche collega in trincea con me, gli altri nemmeno la capivano nè la apprezzavano, per loro ero solo un numero che faceva il proprio lavoro, ma lo facevo così bene che ne volevano di piu e in minor tempo.
Mi rendo conto che sia la scelta sbagliata, ma sento che inconsciamente vorrei tornare al prime, alle performance di quell'anno e mezzo da incorniciare, seppur questo abbia avuto un tragico epilogo. Paradossalmente quel sentirmi morire (nel senso letterale) mi faceva sentire vivo, e ogni serie da 48 ore - avete letto bene, quarantotto ore - mi convinceva di essere onnipotente.

Ora che però il burnout ha preso il sopravvento, ho capito che non voglio piu tornare al mio prime. Infatti preferisco tagliarmi anche di tanto lo stipendio e trovare qualcosa che non mi occupi il 100% del cervello.

Sono arrivato a vivere per lavorare (invece che lavorare per vivere), mi sono accorto di aver dedicato troppe risorse ad un aspetto della vita che avevo messo io su un piedistallo senza che nessuno me lo imponesse, ma era l'unica attività che mi dava soddisfazione nell'immediato, mi faceva sentire "di valore", ma tutto questo era solo un surrogato della felicità, alla fine della giornata non mi rendeva una persona migliore.

Ho sacrificato tutto per star dietro a questo mondo ultra-competitivo, raccogliendo sempre meno di ciò che ho seminato.
A quasi 40 anni mi accorgo di aver avuto sempre i paraocchi verso gli obiettivi sbagliati e di non aver mai vissuto una vita reale e sana, e il tempo ormai andato è impossibile da recuperare.
 
Ho sacrificato tutto per star dietro a questo mondo ultra-competitivo, raccogliendo sempre meno di ciò che ho seminato.
A quasi 40 anni mi accorgo di aver avuto sempre i paraocchi verso gli obiettivi sbagliati e di non aver mai vissuto una vita reale e sana, e il tempo ormai andato è impossibile da recuperare.
Già, c'è quell'orgoglio nell'aver sviluppato qualcosa che solo chi è del mestiere può capire. Sono giovane rispetto a te, io di strada ne devo ancora fare, ma mi ci rivedo nella tua proiezione.

So che è sbagliato - come anche tu hai sottolineato - essere ossessionati da questo mestiere, ma io mi sento continuamente irrealizzato, e anche quando credo di aver fatto un passo mi rendo conto che il percorso è dieci passi più lungo.
I miei colleghi invece sono (quasi tutti) oggettivamente migliori, mi viene da pensare che io abbia sbagliato mestiere certe volte; dovrei andare a pascolare il gregge assieme ad Heidi. Ma è quello per cui ho sempre avuto una predisposizione, e non saprei cos'altro fare della mia vita. Mi sento un fallimento per questo, ma essendo una persona molto (davvero molto) tenace non mi do per sconfitto e studio/lavoro ore su ore.
Sbaglierò io magari nel vedermi così pessimo, anche perché del mio corso di laurea ero e sono tra i migliori, ma è il mio giudizio che conta: quel 30 non significa niente per me, anche perché come saprai la carta e la pratica sono cose nettamente distinte.

// @Gex Anche per te all'inizio è stato così? Oppure eri già dignitosamente bravo?
 
Ho avuto questa dipendenza da lavoro durante l' adolescenza, dai 15 ai 18 anni, quando i fallimenti nella vita sociale mi condussero a buttarmi nello studio cercando quelle soddisfazioni, quel riscatto, che in altri campi della vita non potevo (o ritenevo di non) ottenere. Purtroppo alcuni compagni e compagne che studiavano meno di me e facevano altro, avevano risultato migliori (non scrivo "purtroppo" per criticare quei compagni quanto piuttosto per rimarcare il divario tra l' impegno che mettevo e i risultati non dico cattivi però poco più che sufficienti). Dai 19 a causa del mio calo delle capacità di concentrazione e di un risorto ribellismo, ho abbandonato la voglia di impegnarmi in studio e lavoro. Confesso tuttavia che in questa dipendenza dal lavoro ci casco quando si devono fare lavori nei terreni di famiglia, sarà perché sono cose che mi piaccione e che aiutano a tenermi bene.
Riguardo te, Tony Ciccione, e te, Gex, è evidente che fatte cose che vi piacciono, vi appassionano, ed allora viene naturale gettarsi a tutto spiano, sopportando privazioni che diversamente non sopportereste. Tuttavia non dovete sacrificare la salute fisica, quindi dove dormire 7-8 ore al giorno, e fare anche altro nella vita.
 
Come ho scritto più volte, ho una scarsa considerazione di queste branche della medicina.

Magari sono troppo ingegnere, ma se un processo non è tracciabile non può essere dimostrata la sua efficacia. Ecco perché per me sono al pari dei cartomanti, solo con qualche base statistica in aggiunta. Preferisco gli psichiatri, la pillola funziona 9/10 ed è immediata soluzione (seppur un tampone). Io parlo allo specchio con me stesso, e credo di fare tanto quanto 30 sedute di cartomanzia psichiatrica.
La psicoterapia non è una branca della medicina
 
Già, c'è quell'orgoglio nell'aver sviluppato qualcosa che solo chi è del mestiere può capire. Sono giovane rispetto a te, io di strada ne devo ancora fare, ma mi ci rivedo nella tua proiezione.

So che è sbagliato - come anche tu hai sottolineato - essere ossessionati da questo mestiere, ma io mi sento continuamente irrealizzato, e anche quando credo di aver fatto un passo mi rendo conto che il percorso è dieci passi più lungo.
I miei colleghi invece sono (quasi tutti) oggettivamente migliori, mi viene da pensare che io abbia sbagliato mestiere certe volte; dovrei andare a pascolare il gregge assieme ad Heidi. Ma è quello per cui ho sempre avuto una predisposizione, e non saprei cos'altro fare della mia vita. Mi sento un fallimento per questo, ma essendo una persona molto (davvero molto) tenace non mi do per sconfitto e studio/lavoro ore su ore.
Sbaglierò io magari nel vedermi così pessimo, anche perché del mio corso di laurea ero e sono tra i migliori, ma è il mio giudizio che conta: quel 30 non significa niente per me, anche perché come saprai la carta e la pratica sono cose nettamente distinte.

// @Gex Anche per te all'inizio è stato così? Oppure eri già dignitosamente bravo?
Sei giovane (non ricordo quanti anni hai) e secondo me hai tutta una carriera davanti per sperimentare e milgiorarti.
Se senti che i colleghi son milgiori di te, significa che sei nel posto giusto, perchè la sindrome dell'impostore è sempre dietro l'angolo nel nostro mestiere.
Io ho avuto l effetto contrario e quando ti accorgi che intorno a te non hai piu da chi imparare significa che sei tu quello che ne sa di piu. E a volte mi son cullato di questo e mi sono un po adagiato sugli allori, e nel nostro campo fermarsi è pericoloso.

Non sentirti un fallito perche hai fatto un corso di laurea tosto, hai ottimi voti e devi esserne orgoglioso. Ingegneria rimane e rimarrà un CL duro, che ti forma non solo sugli argomenti ma ti da una certa forma mentis e del problem solving che son sempre utili in tutti i campi della vita!

Ma appunto, se stai cominciando a entrare adesso nel mondo del lavoro, perparati ad una doccia fredda: io finita l'uni pensavo di dover spaccare il mondo, la realtà è stata ben diversa, e molte cose fighe che ho studiato ahimè le ho dimenticate perchè inapplicate (non solo di informatica ma anche di elt, tlc, matematica ecc) perche purtroppo non abbiamo un tessuto produttivo forte che investe su talenti nel tech in italia, e poi vabe la mia carriera è un po andata a puttane lavorando in aziende di consulenza.

Però io non sono e non devo essere un riferimento, sono uno dei tanti, per niente un fenomeno, me la son sempre cavata in qualunque ruolo son stato messo, sono e son stato bravo, ma l eccellenza è un'altra cosa ed è di qualche categoria sopra di me. Ma le soddisfazioni ci son state lo stesso!

L'unico consiglio che voglio darti è che se hai degli obiettivi in questo campo seguili e poi alza sempre piu l'asticella. Però, non sottovalutare MAI altri aspetti importanti come le "soft skills", ossia tutto il contorno del day by day a lavoro (gestione dei rapporti coi colleghi, dello stress, della comunicazione, della (para)socialità di ufficio). Ad oggi posso dirti che reputo piu importanti queste invece che le hard skills universitarie, e se avessi avuto piu rispetto per la mia vita a 360° avrei fatto (e forse oggi ancora mi interesserebbe) una carriera migliore.

Perciò continua a investire su te stesso e sulla tua carriera ma senza mai trascurare il resto!
 
Sei giovane (non ricordo quanti anni hai) e secondo me hai tutta una carriera davanti per sperimentare e milgiorarti.
Se senti che i colleghi son milgiori di te, significa che sei nel posto giusto, perchè la sindrome dell'impostore è sempre dietro l'angolo nel nostro mestiere.
Io ho avuto l effetto contrario e quando ti accorgi che intorno a te non hai piu da chi imparare significa che sei tu quello che ne sa di piu. E a volte mi son cullato di questo e mi sono un po adagiato sugli allori, e nel nostro campo fermarsi è pericoloso.

Non sentirti un fallito perche hai fatto un corso di laurea tosto, hai ottimi voti e devi esserne orgoglioso. Ingegneria rimane e rimarrà un CL duro, che ti forma non solo sugli argomenti ma ti da una certa forma mentis e del problem solving che son sempre utili in tutti i campi della vita!

Ma appunto, se stai cominciando a entrare adesso nel mondo del lavoro, perparati ad una doccia fredda: io finita l'uni pensavo di dover spaccare il mondo, la realtà è stata ben diversa, e molte cose fighe che ho studiato ahimè le ho dimenticate perchè inapplicate (non solo di informatica ma anche di elt, tlc, matematica ecc) perche purtroppo non abbiamo un tessuto produttivo forte che investe su talenti nel tech in italia, e poi vabe la mia carriera è un po andata a puttane lavorando in aziende di consulenza.

Però io non sono e non devo essere un riferimento, sono uno dei tanti, per niente un fenomeno, me la son sempre cavata in qualunque ruolo son stato messo, sono e son stato bravo, ma l eccellenza è un'altra cosa ed è di qualche categoria sopra di me. Ma le soddisfazioni ci son state lo stesso!

L'unico consiglio che voglio darti è che se hai degli obiettivi in questo campo seguili e poi alza sempre piu l'asticella. Però, non sottovalutare MAI altri aspetti importanti come le "soft skills", ossia tutto il contorno del day by day a lavoro (gestione dei rapporti coi colleghi, dello stress, della comunicazione, della (para)socialità di ufficio). Ad oggi posso dirti che reputo piu importanti queste invece che le hard skills universitarie, e se avessi avuto piu rispetto per la mia vita a 360° avrei fatto (e forse oggi ancora mi interesserebbe) una carriera migliore.

Perciò continua a investire su te stesso e sulla tua carriera ma senza mai trascurare il resto!
Siete, dunque, molto benestanti.
 
Ma quindi per te il lavoro non è un cope?
Ni, il lavoro per me è tante cose, ma direi più semplicemente che è la mia vita.

Mi frustra, perché non mi sento mai arrivato, e per un perfezionista ossessivo come me è inaccettabile. D'altra parte mi fa dimenticare altro della vita, ed è un cope. Mi piace il mio lavoro, ma è un piacere sadico, come una sessione di BDSM.
Di esserne dipendente me lo ha fatto notare la mia Lei per la prima volta, perché quando mi chiedeva come stessi io le rispondevo con la lista delle cose che avevo da fare o avevo fatto.
 
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