Meravigliose amiche, cari amici
Tutti noi qui abbiamo ingoiato prima o dopo la nostra pillola (rossa o nera che sia). Conosciamo le regole del gioco: il dna è un tiranno spietato, l'aspetto fisico e il bel visino sono il nostro biglietto da visita e le donne, per natura, selezionano il migliore scartando il resto. Loro sono le selezionatrici, noi i candidati.
Fin qui, tutto chiaro. È una visione che trova conferme ogni giorno, basta guardarsi intorno e non essere completamente ottusi.
C'è un però. Un dato che andrebbe analizzato lucidamente. Le statistiche ufficiali dell'AIFA, dicono che in Italia le donne consumano quasi il doppio dei nostri antidepressivi. Il doppio.
E allora mi fermo e penso. Come è possibile? Se loro sono le vincitrici del grande gioco della vita, se hanno il potere di scegliere, di scartare, di assicurarsi il partner migliore possibile... perché sono anche quelle che più spesso hanno bisogno di un farmaco per non sprofondare? Da dove viene tutta questa sofferenza?
Forse, la vita della donna media — non della modella di Instagram, ma della ragazza normale che incrociamo per strada — è molto più complessa di come la dipingiamo.
Un uomo brutto è solo, non c'è dubbio, e questa è la sua condanna. Ma una donna media? È in una gara costante e spietata. Una gara contro il tempo, prima di tutto. Il suo valore sul "mercato" ha una data di scadenza biologica che le urla nelle orecchie ogni singolo giorno. Ogni ruga è una sconfitta, ogni compleanno un passo verso lo schianto sul muro. Il nostro looksmaxxing è un tentativo di entrare in gioco; il loro, è una lotta disperata per non esserne espulse.
Poi c'è la gara contro le altre donne (vipere). Una competizione feroce, combattuta a colpi di diete, vestiti, filtri sui social. Devono essere attraenti, ma non "troppo facili". Intelligenti, ma non da intimidire gli uomini. Realizzate nel lavoro, ma pronte a fare le madri. È un gioco di equilibri impossibile, dove ogni scelta è un compromesso e ogni compromesso porta più vicino all'esaurimento e alla depressione, all'ansia, agli attacchi di panico.
E quando "vince"? Quando finalmente riesce a sistemarsi con un uomo che le garantisce stabilità, cosa succede? Siamo così sicuri che la sua sia una vittoria? Quante di queste donne finiscono per sentirsi intrappolate in una vita tiepida, accanto a un uomo che hanno scelto con la testa e non con il cuore, sentendo la passione spegnersi lentamente? Non è forse anche questa una solitudine atroce, forse peggiore della nostra, perché mascherata da una finta normalità?
Forse, dopo la pillola nera che ci mostra la nostra dura realtà, il passo successivo è ingoiare la Female-Pill.
Non è una scusa per i loro comportamenti, ma la brutale consapevolezza che anche la loro presunta "vittoria" è una prigione. La consapevolezza che la loro vita è una lotta contro il tempo, contro le altre donne e contro un vuoto che nessun uomo può riempire.
La Female-Pill è capire che il piedistallo delle donne è in realtà una gabbia.
E forse, solo allora, ci renderemmo conto che tutto questo odio serve solo a non farci vedere che siamo tutti, uomini e donne, prigionieri dello stesso sistema.
Vostro,
Meruem
Tutti noi qui abbiamo ingoiato prima o dopo la nostra pillola (rossa o nera che sia). Conosciamo le regole del gioco: il dna è un tiranno spietato, l'aspetto fisico e il bel visino sono il nostro biglietto da visita e le donne, per natura, selezionano il migliore scartando il resto. Loro sono le selezionatrici, noi i candidati.
Fin qui, tutto chiaro. È una visione che trova conferme ogni giorno, basta guardarsi intorno e non essere completamente ottusi.
C'è un però. Un dato che andrebbe analizzato lucidamente. Le statistiche ufficiali dell'AIFA, dicono che in Italia le donne consumano quasi il doppio dei nostri antidepressivi. Il doppio.
E allora mi fermo e penso. Come è possibile? Se loro sono le vincitrici del grande gioco della vita, se hanno il potere di scegliere, di scartare, di assicurarsi il partner migliore possibile... perché sono anche quelle che più spesso hanno bisogno di un farmaco per non sprofondare? Da dove viene tutta questa sofferenza?
Forse, la vita della donna media — non della modella di Instagram, ma della ragazza normale che incrociamo per strada — è molto più complessa di come la dipingiamo.
Un uomo brutto è solo, non c'è dubbio, e questa è la sua condanna. Ma una donna media? È in una gara costante e spietata. Una gara contro il tempo, prima di tutto. Il suo valore sul "mercato" ha una data di scadenza biologica che le urla nelle orecchie ogni singolo giorno. Ogni ruga è una sconfitta, ogni compleanno un passo verso lo schianto sul muro. Il nostro looksmaxxing è un tentativo di entrare in gioco; il loro, è una lotta disperata per non esserne espulse.
Poi c'è la gara contro le altre donne (vipere). Una competizione feroce, combattuta a colpi di diete, vestiti, filtri sui social. Devono essere attraenti, ma non "troppo facili". Intelligenti, ma non da intimidire gli uomini. Realizzate nel lavoro, ma pronte a fare le madri. È un gioco di equilibri impossibile, dove ogni scelta è un compromesso e ogni compromesso porta più vicino all'esaurimento e alla depressione, all'ansia, agli attacchi di panico.
E quando "vince"? Quando finalmente riesce a sistemarsi con un uomo che le garantisce stabilità, cosa succede? Siamo così sicuri che la sua sia una vittoria? Quante di queste donne finiscono per sentirsi intrappolate in una vita tiepida, accanto a un uomo che hanno scelto con la testa e non con il cuore, sentendo la passione spegnersi lentamente? Non è forse anche questa una solitudine atroce, forse peggiore della nostra, perché mascherata da una finta normalità?
Forse, dopo la pillola nera che ci mostra la nostra dura realtà, il passo successivo è ingoiare la Female-Pill.
Non è una scusa per i loro comportamenti, ma la brutale consapevolezza che anche la loro presunta "vittoria" è una prigione. La consapevolezza che la loro vita è una lotta contro il tempo, contro le altre donne e contro un vuoto che nessun uomo può riempire.
La Female-Pill è capire che il piedistallo delle donne è in realtà una gabbia.
E forse, solo allora, ci renderemmo conto che tutto questo odio serve solo a non farci vedere che siamo tutti, uomini e donne, prigionieri dello stesso sistema.
Vostro,
Meruem