Ieri sera ho compiuto l’errore di evadere dalla mia consueta clausura domestica, interrotta dopo mesi di isolamento volontario, anche detto camerettaggio. Un impulso improvvido e irrazionale di cui ho subito percepito il carattere autodistruttivo.
I contesti mondani, come quello del sabato sera in centro città, sono a tutti gli effetti dei tritacarne per i sub 7. Crudeli meccanismi di esclusione sociale: una sorta di selezione naturale in salsa urbana, in cui chi non soddisfa certi standard estetici viene immediatamente scartato, relegato ai margini dell’interazione. È un’esperienza assimilabile a quella di un commensale invisibile in un ristorante affollato, condannato a osservare gli altri consumare con disinvoltura ciò che per lui rimane inaccessibile.
Lo spazio fisico pullula di NP con cui sentiresti il bisogno fisiologico di interagire sessualmente. Tuttavia, la dinamica è spietatamente chiara e sta nel loro sguardo: già orientato alla ricerca di archetipi ben precisi, simboli viventi di qualità genetica e desiderabilità, il chad. È palpabile la delusione nei loro occhi alla sua assenza e il loro brillare ardentemente al suo ingresso, come fiamme che, da tempo sopite, trovano finalmente la scintilla che le riaccende. L’arrivo del chad di turno innesca un’immediata reazione chimica nell’ambiente sociale, una polarizzazione dei desideri che lascia i profili sub 7 nel vuoto pneumatico dell’indifferenza.
Uscire di casa, per chi vive una condizione di esclusione affettiva e sessuale strutturale, significa rendere concreto quel senso di alienazione ed inadeguatezza latente. È un confronto frontale con una realtà che non solo non ti contempla, ma che ti respinge con freddezza sistemica.
Ieri in particolare, è stato poi il culmine. Infatti, penso di aver sperimentato quella che viene definita come depersonalizzazione: un distacco netto tra mente e corpo, una sensazione straniante di essere mero spettatore della propria esistenza, presente fisicamente ma assente mentalmente, sconnesso dalla realtà materiale.
Chi si trova in uno stato di deprivazione cronica di un qualcosa così vitale per il benessere psico-fisico, si accorge che nulla riesce più a produrre piacere o conforto, nemmeno le situazioni sociali più neutre o rassicuranti. Si diventa incapaci di godere del resto, anche di una banale serata tra amici senza pretese.
È una forma di morte psichica: il corpo continua a funzionare per inerzia, ma la coscienza è come sospesa in un limbo privo di stimoli vitali. Una condizione che potremmo definire, senza alcuna iperbole, come clinicamente viva ma interiormente estinta.