Le influencer create dall'Intelligenza artificiale rubano il lavoro a quelle vere (anche nel porno)

mcanrew

Well-known member
Le modelle virtuali hanno ormai inondato i social e il loro mercato, legato soprattutto alla pubblicità, è in grande crescita: il «padre» di Emily Pellegrini dice di aver guadagnato «oltre 100 milioni». Ora molte stanno sbarcando anche su OnlyFans e Fanvue (e spesso sono deepfake)

Le influencer create dall'Intelligenza artificiale rubano il lavoro a quelle vere (anche nel porno)
Grazie alla tecnologia stanno nascendo molte nuove professioni difficili anche solo da immaginare fino a pochi anni fa. Perché non includere tra queste categorie di lavoratori anche i «papponi dell’intelligenza artificiale»? I social sono invasi da influencer create con l’AI, spesso generate rubando i volti di modelle in carne e ossa. Questo fenomeno – che ormai è esploso e che Instagram non sembrerebbe in grado di fermare, come testimoniato da un’inchiesta di Wired e 404 Media – ha aperto la strada, oltre a riflessioni etiche, anche a un mercato particolarmente redditizio. Con creator che, oltre al normale business delle sponsorizzazioni, stanno facendo sempre più soldi anche grazie ai siti di contenuti per adulti.



Le Ia influencer
Una delle prime a diventare virali è stata Emily Pellegrini. Oltre 250 mila follower su Instagram, «the girl for your dreams» come si definisce lei stessa nella sua bio. Alta, mora, formosa, sempre in posti da sogno. Sarebbe una «normale» influencer se solo non fosse creata con l’intelligenza artificiale. Un profilo così verosimile da ingannare anche personaggi famosi e calciatori. Emily Pellegrini, a detta del suo creator, guadagna circa 10 mila dollari a settimana.


C’è chi, oltre a spopolare sui social, inizia anche a condurre un programma televisivo. È il caso di Alba Renai, ventiquattrenne di Madrid che è stata la prima conduttrice virtuale di reality show, Supervivientes, il corrispettivo spagnolo del nostro Isola dei famosi. Dietro l’esperimento c’è la Virtual influencer agency – agenzia creata ad hoc per generare influencer virtuali – che è controllata dalla Be a lion, a sua volta filiale di Mediaset España, l’emittente che manda in onda Supervivientes.

Tra le più seguite c’è Aitana Lopez. Su Instagram dichiara esplicitamente di essere una «Ia influencer», eppure ha comunque 337 mila follower. Capelli rosa e foto spesso provocanti, su Instagram pubblicizza prodotti diversi, da Victoria’s Secret a quelli di Olaplex. Come ha rivelato Diana Núñez, la co-fondatrice dell’agenzia The Clueless che ha creato Aitana, i brand arrivano a pagare oltre mille dollari per le sponsorizzazioni e, negli ultimi mesi, è anche approdata su Only Fans.


E poi ci sono le italiane: Rebecca Galani, Francesca Giubelli o Eli e Sofi, gemelle di 25 anni nate in Sicilia durante il Covid per mano di Elisa Nieli.

Compensi e collaborazioni con brand
Dei compensi delle virtual influencer ne avevamo scritto qui: la più ricca è la brasiliana Lu Do Magalu che, con i suoi 7,4 milioni di follower, è la più seguita al mondo (ed è persino apparsa sulle copertina digitale di Vogue Brasile). Più che un’influencer simile a quelle in carne e ossa lei è un avatar, nata nel 2003 come assistente virtuale del sito di e-commerce Magazine Luiza. Un post Instagram sponsorizzato con Magalu può arrivare a costare sui 30 mila euro.

Negli ultimi mesi ci sono state partnership di alto profilo tra brand e influencer virtuali, tra cui la linea di make-up Kkw Beauty di Kim Kardashian con Noonoouri e Louis Vuitton con Ayayi. Una delle prime, Lil Miquela, ha lavorato con Burberry, Prada e Givenchy.


Un uso – quello delle modelle create con l’intelligenza artificiale – che tra le altre cose riesce ad abbattere, e di molto, i costi: da un’analisi del Financial Times su una pubblicità su Instagram di H&M con l'influencer virtuale Kuki, è emerso che ha raggiunto un numero 11 volte superiore di persone e ha abbattuto del 91 per cento le spese di un advertising normale, con persone in carne e ossa.

Su OnlyFans e Fanvue
Anche gli influencer sono quindi preoccupati dallo sviluppo dell’intelligence artificiale. Anche perché spesso questi account sono creati grazie a deepfake o face-swapped che «prendono in prestito» il volto di persone vere. E non sempre si autodichiarano: nell’inchiesta di Wired e 404 Media, il 40 per cento dei profili analizzati non include alcun riferimento che indichi la loro origine artificiale.

Uno di questi ultimi account, tra i più seguiti, è quello di Chloe Johnson che, prima di essere cancellato da Meta, aveva spunta blu e171 mila follower. Il profilo di Johnson era collegato a un account su Fanvue, un sito stile OnlyFans, dove molti influencer (o meglio, chi c’è dietro) guadagnano cifre importanti. Ma l’elenco delle modelle virtuali che ormai sono approdate a questo nuovo business è molto lungo, da Emily Pellegrini a Lily Hayes. Le sponsorizzazioni, ormai, non sono più l’unica fonte di monetizzazione per i content creator che lavorano con l’intelligenza artificiale.

Esistono vere e proprie guide per i «papponi dell'Ia»
Non solo contenuti, quindi, ma un vero e proprio business. Influencer digitali che spopolano su Instagram, profili usati come volano per portare gli utenti su siti a pagamento come Fanvue o OnlyFans. E veri e propri manuali per introdurre a questo fiorente mercato.

Uno dei content creator più famosi (e ricchi) si fa chiamare Professor Ep. È il «padre» di Emily Pellegrini ed è l’unico profilo seguito su Instagram. Professor Ep offre video didattici (dal costo di 220 dollari) in cui promette di rendere pubblici i trucchi del mestiere: «Vi svelerò come ho creato Emily Pellegrini. Vi mostrerò come ho guadagnato più di un milione di dollari in meno di sei mesi». Il deepfake? «Sembra funzionare bene per molti Ia influencer, anche se non lo consiglio».
Professor Ep è stato anche giudice del primo concorso di bellezza virtuale – Miss Ia – in collaborazione con Fanvue e, solo su questo sito, ha rivelato di aver guadagnato 100 mila dollari. Ci sono poi chatbot creati ad hoc per le modelle virtuali su Only Fans e Fanvue, come Calu, pubblicizzata su Instagram dallo stesso creator di Emily Pellegrini.

Tra i profili analizzati nell’inchiesta di Wired e 404 Media molti sembrano usare un’applicazione chiamata HelloFace, fino a poco tempo fa scaricabile dagli app store di Apple e Google. Ma esistono molte guide per la creazione di influencer dell’intelligenza artificiale come Galmbase, SynthLife e Genfluence.
Generare artigianalmente influencer virtuali non è ancora un gioco da ragazzi, ma il settore si è ormai aggiunto da tempo alla lunga lista di quelli preoccupati dello sviluppo dell’intelligenza artificiale.
 
Se rubano i volti é un reato se non c'è un consenso firmato e di conseguenza un contratto per le royalties ecc...se sono volti creati da 0 é un altro discorso, in tal caso magari si dovrebbe mettere la dicitura "ai generated" cosí come era stato introdotto il discorso di obbligo di dichiarare che sia sponsorizzata.

Sui social ci sono ancora tante incongruenze, per dirne una su instagram gli influencer possono pubblicizzare alcolici, vedi gue con la tequila o tanti altri, in tv invece ci sono tutta una serie di restrizioni...

La verità, e questo vale per tutto non solo per i social, é che il mondo della tecnologia va troppo più veloce delle leggi o meglio, le leggi sono troppo lente rispetto alla tecnologia, infinitamente più lente...
 
Le modelle virtuali hanno ormai inondato i social e il loro mercato, legato soprattutto alla pubblicità, è in grande crescita: il «padre» di Emily Pellegrini dice di aver guadagnato «oltre 100 milioni». Ora molte stanno sbarcando anche su OnlyFans e Fanvue (e spesso sono deepfake)

Le influencer create dall'Intelligenza artificiale rubano il lavoro a quelle vere (anche nel porno)
Grazie alla tecnologia stanno nascendo molte nuove professioni difficili anche solo da immaginare fino a pochi anni fa. Perché non includere tra queste categorie di lavoratori anche i «papponi dell’intelligenza artificiale»? I social sono invasi da influencer create con l’AI, spesso generate rubando i volti di modelle in carne e ossa. Questo fenomeno – che ormai è esploso e che Instagram non sembrerebbe in grado di fermare, come testimoniato da un’inchiesta di Wired e 404 Media – ha aperto la strada, oltre a riflessioni etiche, anche a un mercato particolarmente redditizio. Con creator che, oltre al normale business delle sponsorizzazioni, stanno facendo sempre più soldi anche grazie ai siti di contenuti per adulti.



Le Ia influencer
Una delle prime a diventare virali è stata Emily Pellegrini. Oltre 250 mila follower su Instagram, «the girl for your dreams» come si definisce lei stessa nella sua bio. Alta, mora, formosa, sempre in posti da sogno. Sarebbe una «normale» influencer se solo non fosse creata con l’intelligenza artificiale. Un profilo così verosimile da ingannare anche personaggi famosi e calciatori. Emily Pellegrini, a detta del suo creator, guadagna circa 10 mila dollari a settimana.


C’è chi, oltre a spopolare sui social, inizia anche a condurre un programma televisivo. È il caso di Alba Renai, ventiquattrenne di Madrid che è stata la prima conduttrice virtuale di reality show, Supervivientes, il corrispettivo spagnolo del nostro Isola dei famosi. Dietro l’esperimento c’è la Virtual influencer agency – agenzia creata ad hoc per generare influencer virtuali – che è controllata dalla Be a lion, a sua volta filiale di Mediaset España, l’emittente che manda in onda Supervivientes.

Tra le più seguite c’è Aitana Lopez. Su Instagram dichiara esplicitamente di essere una «Ia influencer», eppure ha comunque 337 mila follower. Capelli rosa e foto spesso provocanti, su Instagram pubblicizza prodotti diversi, da Victoria’s Secret a quelli di Olaplex. Come ha rivelato Diana Núñez, la co-fondatrice dell’agenzia The Clueless che ha creato Aitana, i brand arrivano a pagare oltre mille dollari per le sponsorizzazioni e, negli ultimi mesi, è anche approdata su Only Fans.


E poi ci sono le italiane: Rebecca Galani, Francesca Giubelli o Eli e Sofi, gemelle di 25 anni nate in Sicilia durante il Covid per mano di Elisa Nieli.

Compensi e collaborazioni con brand
Dei compensi delle virtual influencer ne avevamo scritto qui: la più ricca è la brasiliana Lu Do Magalu che, con i suoi 7,4 milioni di follower, è la più seguita al mondo (ed è persino apparsa sulle copertina digitale di Vogue Brasile). Più che un’influencer simile a quelle in carne e ossa lei è un avatar, nata nel 2003 come assistente virtuale del sito di e-commerce Magazine Luiza. Un post Instagram sponsorizzato con Magalu può arrivare a costare sui 30 mila euro.

Negli ultimi mesi ci sono state partnership di alto profilo tra brand e influencer virtuali, tra cui la linea di make-up Kkw Beauty di Kim Kardashian con Noonoouri e Louis Vuitton con Ayayi. Una delle prime, Lil Miquela, ha lavorato con Burberry, Prada e Givenchy.


Un uso – quello delle modelle create con l’intelligenza artificiale – che tra le altre cose riesce ad abbattere, e di molto, i costi: da un’analisi del Financial Times su una pubblicità su Instagram di H&M con l'influencer virtuale Kuki, è emerso che ha raggiunto un numero 11 volte superiore di persone e ha abbattuto del 91 per cento le spese di un advertising normale, con persone in carne e ossa.

Su OnlyFans e Fanvue
Anche gli influencer sono quindi preoccupati dallo sviluppo dell’intelligence artificiale. Anche perché spesso questi account sono creati grazie a deepfake o face-swapped che «prendono in prestito» il volto di persone vere. E non sempre si autodichiarano: nell’inchiesta di Wired e 404 Media, il 40 per cento dei profili analizzati non include alcun riferimento che indichi la loro origine artificiale.

Uno di questi ultimi account, tra i più seguiti, è quello di Chloe Johnson che, prima di essere cancellato da Meta, aveva spunta blu e171 mila follower. Il profilo di Johnson era collegato a un account su Fanvue, un sito stile OnlyFans, dove molti influencer (o meglio, chi c’è dietro) guadagnano cifre importanti. Ma l’elenco delle modelle virtuali che ormai sono approdate a questo nuovo business è molto lungo, da Emily Pellegrini a Lily Hayes. Le sponsorizzazioni, ormai, non sono più l’unica fonte di monetizzazione per i content creator che lavorano con l’intelligenza artificiale.

Esistono vere e proprie guide per i «papponi dell'Ia»
Non solo contenuti, quindi, ma un vero e proprio business. Influencer digitali che spopolano su Instagram, profili usati come volano per portare gli utenti su siti a pagamento come Fanvue o OnlyFans. E veri e propri manuali per introdurre a questo fiorente mercato.

Uno dei content creator più famosi (e ricchi) si fa chiamare Professor Ep. È il «padre» di Emily Pellegrini ed è l’unico profilo seguito su Instagram. Professor Ep offre video didattici (dal costo di 220 dollari) in cui promette di rendere pubblici i trucchi del mestiere: «Vi svelerò come ho creato Emily Pellegrini. Vi mostrerò come ho guadagnato più di un milione di dollari in meno di sei mesi». Il deepfake? «Sembra funzionare bene per molti Ia influencer, anche se non lo consiglio».
Professor Ep è stato anche giudice del primo concorso di bellezza virtuale – Miss Ia – in collaborazione con Fanvue e, solo su questo sito, ha rivelato di aver guadagnato 100 mila dollari. Ci sono poi chatbot creati ad hoc per le modelle virtuali su Only Fans e Fanvue, come Calu, pubblicizzata su Instagram dallo stesso creator di Emily Pellegrini.

Tra i profili analizzati nell’inchiesta di Wired e 404 Media molti sembrano usare un’applicazione chiamata HelloFace, fino a poco tempo fa scaricabile dagli app store di Apple e Google. Ma esistono molte guide per la creazione di influencer dell’intelligenza artificiale come Galmbase, SynthLife e Genfluence.
Generare artigianalmente influencer virtuali non è ancora un gioco da ragazzi, ma il settore si è ormai aggiunto da tempo alla lunga lista di quelli preoccupati dello sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Meglio così andranno a trovare lavoro dignitoso
 
Non me ne frega un cazzo. Anzi spero che in un futuro molto prossimo tutta sta merda social sia invasa SOLO di modelle fake IA, così I segaioli daranno soldi ai programmatori informatici. E le troie in carne ed ossa torneranno a fare quel che facevano prima, cioè le puttane in tv o IRL.
 
Ormai sempre più fessi ci credono ciecamente, e non serve a nulla dirglielo che sono finte. Nella migliore delle ipotesi sono ragazze reali, ma pesantemente modificate, nella peggiore totalmente virtuali. Faccio due esempi agli antipodi per generi di età: Zoe Moore, perenne diciottenne tettona, e Valentina Castillo, milf rigorosamente inesistente.
A me piace il genere, alla fine, anche quelle vere sono solo un mucchio di pixel colorati per me, quindi cambia nulla, anzi, sotto certi aspetto, mi urta che una donna guadagni solo per mostrare il suo bel visino, e nemmeno nuda, a sto punto facciamo guadagnare qualche nerdone che ci sa fare con la grafica digitale, tanto per noi che guardiamo il risultato è lo stesso.
L'unico vero problema è se queste modelle finte venissero utilizzate per le truffe.
 
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