Interessante la tua testimonianza. La tua storia personale è molto simile a tanti che sono passati in questi porti, è quasi una specie di prerogativa esistenziale, di pattern che si avverano pur cercando in tutti i modi di non farli avverare, tipo profezie volute dal destino di greca memoria. La parte che mi ha colpito riguarda quella sui media e non fa che confermarmi la volontà di ingegneria sociale volta a creare un "divide et impera" più profondo di come non lo si era mai visto in passato. Di fronte alla pervasiva propaganda non vedo alternative se non la consapevolezza personale ma non so fino a quando il bubbone possa rimanere integro prima di scoppiare ed infettarsi: la maggioranza ragiona con la pancia e la retorica della colpevolizzazione e del dito indice a prescindere di fronte alla fame non so fino a che punto possa reggere. Mi aspetto prima o poi delle rivolte non più silenti che possano fungere da casus belli per politiche di controllo ancora più stritolanti.
Premetto che non sono un sociologo, e in generale un argomento del genere richiede un'analisi multidisciplinare attenta per avere un rapporto parzialmente oggettivo con la realtà. Servirebbe anche un codice deontologico piuttosto forte, e uno smorzamento degli interessi (anche verso le proprie teorie) pur di raggiungere dei risultati.
Detto questo secondo la mia prospettiva assolutamente si, io sono in linea con alcuni sociologi, filosofi e umanisti (oltre che esperti di religione) che etichettano la società odierna come anti- comunitaria e contro i legami.
La felicità, la tranquillità e le relazioni sono estinte, rimpiazzati da palliativi (contrattualismo, utilitarismo, consumismo ecc.) che non riescono a rispondere ai problemi esistenziali.
L'ansia diffusa, la depressione e la solitudine sono solo dei fenomeni evidenti del fallimento contemporaneo, dove poi si corre dallo psicologo a curare gli effetti che viviamo sulla nostra pelle senza mai pensare alle cause.
In una società "sana" a mio avviso non dobbiamo sfornare milioni di problemi del genere ed è un fallimento se siamo tutti dallo psicologo perché vuol dire che qualcosa non funziona alla base.
Sicuramente i fattori coinvolti nel disastro sono molti, è evidente che la vittoria dei "come" nella società delle performance e dell'economia (parliamo di quelle a trazione usa e occidentali) ha assorbito i "perché" e ogni ambito della realtà umanistica.
Ci sono elementi latenti che hanno anche il loro peso, ad esempio la tecnica "sconsacra" il mondo e le nostre vite. Altre variabili sono nascoste o remote, una meno evidente riguarda i fallimenti dell'illuminismo e del millenarismo che hanno lasciato dei prodotti filosofici che nel lungo termine ci consegnano sempre di più una vita astratta e indefinita a livello collettivo (parliamo di nozioni che poi sono arrivate in ambito politico, legislativo ecc).
Poi in generale ci sono discorsi noti, come la stessa cultura e il mondo di Hollywood che ormai sforna spesso una concezione di donna solitaria, di uomo effemminato, e di una società che è felice tramite l'individualismo, l'autodeterminazione e una libertà che non fornisce nessuna risposta.
Purtroppo sono convinto che non parliamo di un modello sostenibile, si dice in modo esplicito che il mondo sarà migliore con uno psicologo a testa. Ma lo psicologo agisce sul personale e non sul collettivo e per la formazione e le operazioni che è chiamato a fare deve pensare al singolo, e può causare danni agli altri con certi ragionamenti nel breve-medio termine.
Con questo non voglio demonizzare la psicologia, ma oltre a non "modificare" delle dinamiche oggettive non risponde alle esigenze diffuse (può aiutarti a reagire a comportarti meglio ma in una società fallimentare per il tuo bene probabilmente ti aiuterà a convivere con il fallimento o ti darà qualche bugia - palliativo).
Il mainstream per me è penoso, in fondo ti dice che questo è il migliore dei mondi, che siamo "evoluti", e ci bombarda di articoli e studi che ci narrano questo individualismo quotidiano. Non voglio neanche toccare il discorso ergastolo per l'uccisione di una donna, o le associazioni dei papà divorziati, quello che vedo è ormai una misandria che deve respirare l'incel, il povero, il timido o il non-realizzato.
Comunque sono discorsi e leitmotiv penosi, sembrano tautologie, o slogan. Se chiudi la narrazione e guardi la realtà oggi la donna oggi dal 7 in su ha un potere enorme. E in generale noi siamo vittime di dinamiche che difficilmente possono cambiare perché non dipendono dalle nostre scelte!
Quello che mi butta giù è che vivo una vita che non ho chiesto di vivere, e tanto studio mi ha fatto capire che oggi siamo davvero in una società folle e spietata.
Diversa è la vita dei ricchi, oggi sono dei moderni nobili senza nulla di nobile, o quella dei belli.
Hanno ereditato status diversi dai nostri e hanno un altra vita.
Non metto in dubbio gli sforzi quotidiani che possono aiutare a raggiungere risultati discreti (miglioramenti in termini di look, stile di vita, miglioramento lavorativo ecc)
Però mi sento di essere una sorta di Pierrot, un coglione che a causa dei traumi subiti, dei geni e di una serie di situazioni disastrose si ritrova così, vittima designata e contraltare dei vomitevoli ricchi e dei chad.
Molti di noi sono degli agnelli a livello teologico. Io mi ci sento, perché non ho forza e possibilità per cambiare certi fattori.
Eliade aveva ragione, l'uomo moderno può essere accusato dall'arcaico di essere vittima della storia! O almeno sempre meno uomini possono scriverla.
E ci riescono senza neanche sublimare qualcosa, nella società del non-essere ballano soltanto sulla nostra schiena e sui mostri traumi!
I chad e soprattutto gli spregevoli ricchi (o dirigenti realizzati megalomani potenti e sadici) conoscono le nostre debolezze, ci osservano ontologicamente e ci dominano, e grazie a noi volano!
Non ho una prospettiva alla Nietzsche su questo.
Sembra di vivere in Berserk e di essere stati marchiati, punto.
Scusa il discorso così duro.