Capisco quello che dici, e ammetto che in certi ambienti ci sia una componente goliardica, un linguaggio da "spogliatoio" esasperato, magari anche autoironico a tratti. Però spero che non stai riducendo a questo tutto perché è un po' ignorare il cuore del problema. Anche l’ironia può veicolare contenuti tossici, specialmente se ripetuti in loop e rafforzati da persone che vivono esperienze simili. Per dirla breve: faccio humour sugli ebrei quando so che le persone in sala non si offendono, non ci sono ebrei, oppure mi chiamo Ricky Gervais. Alla lunga, infatti, il confine tra satira e convinzione vera si assottiglia, e il rischio è che un ambiente nato per "sfogarsi" diventi una camera dell’eco dove si legittima la frustrazione e la si converte in ostilità.
Sul punto centrale della tua riflessione, cioè che l’“odio” non è preesistente ma nasce da un conflitto reale con l’altro sesso, voglio farti notare una cosa importante: anche la depressione nasce spesso da un conflitto con la realtà. E come nella depressione, la persona costruisce una narrazione interiore che alimenta il suo malessere, anche il redpillato o il blackpillato rischia di costruirsi una visione del mondo chiusa, dove tutto è filtrato attraverso l’idea che le donne siano ipergamiche, ingiuste, manipolatrici, e che il proprio fallimento sia sempre e solo colpa dell’altro sesso o della biologia.
È una struttura depressiva, nel senso psicologico del termine. Perché si basa su cose tipo FATALISMO (se non sei nel 15%, sei spacciato), PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA (dato che non piaccio, non mi impegno) e DISPERAZIONE ORGANIZZZATA (siamo tutti nella stessa barca, ci facciamo pat pat, ma nessuno si aiuta per uscirne fuori)
Sul tema “la donna non esiste" ci sta che la mia è una provocazione filosofica più che una tesi scientifica, ma è utile a ricordare che ogni idea di "donna", "uomo", "ruolo", è sempre filtrata dalla cultura, dalla storia e dal momento. I dati biologici non vanno negati, ma nemmeno trattati come verità totali che spiegano tutto. L’attrazione nelle app, ad esempio, è un buon esempio per discutere le dinamiche sessuali moderne, ma non può essere usato come verità universale sull’intero comportamento femminile. E soprattutto: anche lì, spesso i dati vengono letti per confermare il proprio dolore, non per comprenderlo davvero.
Percui è vero che il fenomeno degli incel è in aumento, ed è serio, ma pari passo anche la despressione è in aumento. E proprio perché lo è, dobbiamo trattarlo come una questione di salute mentale, non come una nuova ideologia. Bisogna offrire ai ragazzi strumenti per elaborare il rifiuto, il confronto, il desiderio e la frustrazione non per cristallizzarli in una visione del mondo che li incattivisce ancora di più.
Ecco perché, per me, essere redpillati è come essere depressi senza rendersene conto: hai costruito una spiegazione del mondo che ti fa soffrire e ti impedisce di uscirne. È una gabbia mentale. Capire che è una gabbia è il primo passo per rompere le sbarre.