mcanrew
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https://www.corriere.it/economia/op...rd-61f21a42-a883-4923-9919-ba5b7b251xlk.shtml
«Abbiamo il costo-ingegnere più basso di tutti e di conseguenza un laureato prende il passaporto e se ne va. Del resto ormai si lavora dappertutto in inglese e le vecchie barriere sono cadute. Per questo dico che il mondo dei datori di lavori si dovrebbe interrogare. Quanti di loro sono rimasti al piccolo è bello?».
La dimensione delle imprese italiane non permette di offrire lavori di qualità?
«Le piccole imprese non sono in grado di offrire una carriera e un salario ai profili professionali che escono dalle nostre università, la cui qualità è eccellente. I Politecnici di Torino e Milano sono ottimi atenei. Il problema si crea quando gli ingegneri laureati cercano un posto di lavoro in Italia ben remunerato. Trovano imprese familiari che non sono in grado di ingaggiarli».
Le imprese familiari non esistono solo in Italia.
«Ma da noi molto più che altrove non si sono managerializzate, rimangono gestite dalle famiglie e 90 su 100 restano piccole».
Dentro il Nord spicca il ruolo di Milano, città-vetrina e anche città-calamita.
«Sì, ma non rappresenta tutto il Nord. È una città globale con mille problemi e soprattutto ha costi globali e redditi italiani. Ciò l’ha resa invivibile al ceto medio per la lievitazione del costo della vita. Penso a ciò che è accaduto con l’estendersi degli affitti brevi e con il rientro in Italia con benefici fiscali di soggetti abbienti. Ci vogliono delle regole altrimenti la città è destinata a soffrire. Città più piccole soffrono meno».
A cosa si riferisce?
«Per non andar lontano a Brescia e Bergamo, Vicenza o Udine. Città dove il depauperamento dei giovani che vanno via si sente di meno. Il costo della vita è più accettabile».
E Torino?
«È un caso più difficile da leggere perché si intreccia con la scomparsa della Fiat. Che fa seguito alla scomparsa della Olivetti. Due tragedie».
E il Nord Est?
«Con la crisi tedesca che morde e l’incidenza che quel mercato aveva per le nostre esportazioni lo vedo in grande difficoltà».
L’occupazione in Italia però ha raggiunto quota 24 milioni, un record.
«Ma ci dobbiamo chiedere che tipo di lavori stanno aumentando. E purtroppo la risposta è che si tratta di lavoro povero. Lo dimostrano i consumi interni che sono stagnanti ed è una cartina di tornasole che non sbaglia. Sta aumentando l’occupazione, ma non il reddito disponibile».
Il turismo però ha conosciuto dei risultati sui quali non avremmo scommesso. L'afflusso di stranieri è continuo.
«Ma l’occupazione che viene dal turismo è più povera di quella che dà l’industria. Un modello di sviluppo centrato sul lavoro povero trascina in basso in tutto. E arriviamo alla bassa natalità».
Gli ultimi dati sulla povertà ci dicono che aumenta più tra gli operai che altrove.
«La povertà aumenta tra gli operai, ma anche tra gli insegnanti e gli infermieri. A Milano non si trovano autoferrotranvieri perché gli stipendi non consentono di vivere in città. C’è una povertà diffusa del lavoro».
«Abbiamo il costo-ingegnere più basso di tutti e di conseguenza un laureato prende il passaporto e se ne va. Del resto ormai si lavora dappertutto in inglese e le vecchie barriere sono cadute. Per questo dico che il mondo dei datori di lavori si dovrebbe interrogare. Quanti di loro sono rimasti al piccolo è bello?».
La dimensione delle imprese italiane non permette di offrire lavori di qualità?
«Le piccole imprese non sono in grado di offrire una carriera e un salario ai profili professionali che escono dalle nostre università, la cui qualità è eccellente. I Politecnici di Torino e Milano sono ottimi atenei. Il problema si crea quando gli ingegneri laureati cercano un posto di lavoro in Italia ben remunerato. Trovano imprese familiari che non sono in grado di ingaggiarli».
Le imprese familiari non esistono solo in Italia.
«Ma da noi molto più che altrove non si sono managerializzate, rimangono gestite dalle famiglie e 90 su 100 restano piccole».
Dentro il Nord spicca il ruolo di Milano, città-vetrina e anche città-calamita.
«Sì, ma non rappresenta tutto il Nord. È una città globale con mille problemi e soprattutto ha costi globali e redditi italiani. Ciò l’ha resa invivibile al ceto medio per la lievitazione del costo della vita. Penso a ciò che è accaduto con l’estendersi degli affitti brevi e con il rientro in Italia con benefici fiscali di soggetti abbienti. Ci vogliono delle regole altrimenti la città è destinata a soffrire. Città più piccole soffrono meno».
A cosa si riferisce?
«Per non andar lontano a Brescia e Bergamo, Vicenza o Udine. Città dove il depauperamento dei giovani che vanno via si sente di meno. Il costo della vita è più accettabile».
E Torino?
«È un caso più difficile da leggere perché si intreccia con la scomparsa della Fiat. Che fa seguito alla scomparsa della Olivetti. Due tragedie».
E il Nord Est?
«Con la crisi tedesca che morde e l’incidenza che quel mercato aveva per le nostre esportazioni lo vedo in grande difficoltà».
L’occupazione in Italia però ha raggiunto quota 24 milioni, un record.
«Ma ci dobbiamo chiedere che tipo di lavori stanno aumentando. E purtroppo la risposta è che si tratta di lavoro povero. Lo dimostrano i consumi interni che sono stagnanti ed è una cartina di tornasole che non sbaglia. Sta aumentando l’occupazione, ma non il reddito disponibile».
Il turismo però ha conosciuto dei risultati sui quali non avremmo scommesso. L'afflusso di stranieri è continuo.
«Ma l’occupazione che viene dal turismo è più povera di quella che dà l’industria. Un modello di sviluppo centrato sul lavoro povero trascina in basso in tutto. E arriviamo alla bassa natalità».
Gli ultimi dati sulla povertà ci dicono che aumenta più tra gli operai che altrove.
«La povertà aumenta tra gli operai, ma anche tra gli insegnanti e gli infermieri. A Milano non si trovano autoferrotranvieri perché gli stipendi non consentono di vivere in città. C’è una povertà diffusa del lavoro».